Intervista all’assessore regionale all’Economia. Che, da proconsole romano, ha stupito un po’ tutti con la norma che avvia il contenzioso con Roma sulle risorse che spettano alla Sicilia. In questa chiacchierata, con qualche ramanzina alla stampa, il punto sulle riforme e sui suoi rapporti col governatore
Baccei: «Lavoro per la Sicilia, ma non mi avete creduto» Su Crocetta: «Nessun litigio, le riforme sono condivise»
Se voleva stupirci con effetti speciali, c’è riuscito. Alessandro Baccei, assessore regionale all’Economia, meglio noto alle cronache come il proconsole romano o il commissario inviato dal governo nazionale in Sicilia, ha spiazzato un po’ tutti presentando una norma, inserita nel ddl sull’esercizio provvisorio approvato dall’Aula, degna di un politico siciliano doc. Una norma che avvia, come detto dal presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone, una sorta di pre-contenzioso con Roma sulle risorse che spettano alla Sicilia. Si tratta dell’articolo 15 Accantonamenti tributari relativi ai rapporti finanziari Stato-Regione. La norma inserisce la cifra di un miliardo e 700 milioni di euro nel bilancio, come accantonamento negativo, lanciando un segnale chiarissimo a Roma. Lo Stato attualmente trattiene ogni anno le entrate frutto delle ritenute sui redditi di lavoro operate sugli stipendi dei dipendenti pubblici che prestano servizio in Sicilia. Soldi che vengono trattenuti da Roma e che l’assessore reclama per la Sicilia. Come accennato, la proposta è stata accolta con un certo entusiasmo da Sala d’Ercole, perché, senza giri di parole, nessuno se l’aspettava dall’inviato del governo nazionale. Abbiamo deciso quindi di fare due chiacchiere con Baccei, che si è mostrato subito disponibile. Anche se non ha mancato di fare una piccola ramanzina alla stampa «che spesso diffonde notizie non vere e genera allarmismi. E che dovrebbe mostrare senso di responsabilità in un momento che è difficile per tutti».
Assessore Baccei, nessuno si aspettava da un proconsole romano una norma simile.
«Io l’ho detto subito, ma non mi avete creduto: sono un assessore del governo regionale e lavoro per la Sicilia. Quello che ho sostenuto fin dall’inizio è che, prima di rivendicare qualsiasi cosa, bisognava mostrare di essere seri. Ed è quello che abbiamo fatto rispettando il patto di stabilità per il 2014 e proponendo una serie di riforme. La Sicilia, nell’immaginario collettivo, è percepita come una regione spendacciona e c’è un fondo di verità, nessuno può negarlo, basti vedere in che condizioni si trovano le sue finanze e non certo per colpa di questo governo. Ovvio che prima di chiedere al governo nazionale di aprire il portafoglio bisognava dare un segnale di discontinuità.
La norma da lei proposta è però solo una parte della questione. C’è un principio di territorializzazione delle imposte, ribadito con la sentenza di luglio dalla Corte costituzionale, che va ben al di là di questa cifra.
«Io ho indicato un percorso. Mettere tante questioni sul piatto, spesso, significa non metterne alcuna. Cominciamo da questa poi, una volta avviata la negoziazione, si potranno discutere anche gli altri temi, come quello relativo alle accise. Da qualche parte bisogna cominciare e lo abbiamo fatto».
Non le crea nessun imbarazzo rivendicare dinnanzi a chi l’ha inviata in Sicilia?
«La partita è da giocare e, ripeto, mostrando serietà avremo sicuramente le nostre chance. Per il resto, nessun imbarazzo. Io sono stato scelto dal presidente Crocetta e lavoro per la Sicilia».
Lei prima parlava di discontinuità. In che senso?
«Ecco questo è un concetto che non è stato capito e che colgo l’occasione di chiarire. Discontinuità significa, ad esempio, avere cambiato metodologia nel calcolo delle entrate regionali. Per troppi anni nei bilanci di previsione venivano iscritte entrate che poi non rispondevano alla realtà. Basti pensare alla valorizzazione del patrimonio immobiliare. Sulla base di queste entrate fittizie si autorizzavano le spese, ma siccome i soldi non c’erano, ecco l’indebitamento della Regione. Io terrò conto solo delle entrate reali. Da qui la necessità del mutuo che servirà a iniettare liquidità e non c’entra nulla con la sanità».
Ci spieghi meglio, perché a dire che si trattava di un buco della sanità è stato il governo.
«La sanità siciliana è a posto. I conti sono in equilibrio, tant’è che per la Regione si è chiusa la fase del piano di rientro. I soldi del mutuo servono per esigenze di cassa. Non vogliamo indebitare i siciliani, al contrario vogliamo ridurre il debito, pagare gli stipendi. Bisogna intervenire sui fenomeni che generano tensioni finanziarie e sono essenzialmente due: le entrate, come già detto, e la spesa dei fondi europei. Ci sono troppi ritardi nella certificazione e per questo dobbiamo dotarci di una buona assistenza tecnica».
Significa affidare l’assistenza tecnica ad esterni? Questo non comporterà più spese per le casse regionali?
«Senza una buona assistenza tecnica non potremo usare al meglio le risorse europee. La stessa commissione europea prevede questa spesa e non bisogna avere pregiudizi nei confronti del mercato. L’errore è stato internalizzare certe funzioni, come questa o quella relativa all’informatica. Tutte le Regioni ricorrono al mercato per avere il meglio».
A proposito di fondi europei, che ne pensa dello scippo dei Fondi Pac alla Sicilia?
«Quella è stata una decisione del governo nazionale che nulla a che vedere con noi. Ma non è stato uno scippo alla Sicilia, si è deciso solo di usarli diversamente. Certamente il governo poteva spostare in avanti il termine del 30 settembre (i soldi non spesi entro quella data sono stati prelevati da Roma, ndr)».
Per concludere, ha fatto pace con il presidente della Regione Rosario Crocetta?
«Guardi, non abbiamo mai litigato, e questo lo garantisco. All’improvviso è stata data alla stampa una prima bozza di riforme che io non avevo neanche visto. Da qui si è generata qualche polemica, ma solo sulla stampa. Tra me e lui mai una discussione. Solo ora stiamo avviando la fase di riscrittura e discussione, e ovviamente sarà una bozza condivisa passo dopo passo».