Cronaca

Il caso Attilio Manca, le novità a 20 anni dalla morte: dalla possibile nuova inchiesta al ruolo del cugino indagato

«Non avere notizie mi sembra una buona notizia. Perché lascia dedurre che le indagini siano in corso». È passato più di un anno dalla richiesta, presentata dall’avvocato Fabio Repici, per la riapertura delle indagini sulla morte di Attilio Manca. Il medico urologo di Barcellona Pozzo di Gotto (in provincia di Messina) trovato senza vita nella sua casa di Viterbo, nel Lazio, il 13 febbraio del 2004. Un caso chiuso dalla procura come morte per overdose da eroina, nonostante varie anomalie: prima tra tutte quella per cui il 35enne, da mancino, si sarebbe iniettato la dose di droga proprio sul braccio sinistro. Tra le opacità di questa storia resta l’ipotesi adombrata di un delitto di matrice mafiosa ordinato e compiuto per coprire la latitanza di Bernardo Provenzano. Con il boss corleonese di Cosa nostra, arrestato poi dopo una ricerca durata 43 anni, l’urologo sarebbe venuto in contatto a sua insaputa durante il ricovero per un intervento alla prostata in una clinica francese. Una ricostruzione che legherebbe insieme mafia, servizi segreti e massoneria e che sarebbe stata prospettata anche dalle testimonianze di quattro collaboratori di giustizia.

«Ho presentato l’istanza per la riapertura delle indagini alla procura di Roma perché ritenevo ci fossero degli elementi da cui ripartire per provare a fare luce su questa storia», commenta a MeridioNews l’avvocato Recipi che assiste la famiglia Manca nella ricerca di giustizia e verità anche dopo l’archiviazione dell’inchiesta. «Siamo in fiduciosa attesa – aveva scritto Angela Gentile, la mamma di Attilio Manca – Vorrei vedere l’apertura di un processo serio e non un processo farsa come quello che si è celebrato a Viterbo». Anche in una relazione della commissione parlamentare antimafia si legge che gli inquirenti avrebbero svolto le indagini «in maniera superficiale» con un «atteggiamento precostituito a confermare la tossicodipendenza, e quindi il suicidio della vittima, più che alla ricerca della verità scevra da pregiudizi». Nel marzo del 2017 era stata condannata in primo grado Monica Mileti (poi prosciolta) con l’accusa di avere ceduto ad Attilio Manca la dose di sostanza stupefacente. Per la commissione antimafia, però, la procura avrebbe «omesso accertamenti indispensabili: gli esami dattiloscopici per identificare i proprietari delle impronte trovate sulla scena del crimine, gli accertamenti genetici sulle cicche di sigarette repertate, la ricerca di impronte sulle due siringhe usate per iniettare la dose letale di eroina».

Anche altre indagini, intanto, sono andate avanti e hanno portato ai primi risultati. Indagato per atti persecutori è finito Ugo Manca, cugino di Attilio e nipote di Gioacchino Manca, detto Gino. Era stato proprio il padre dell’urologo a denunciare, per anni, insieme alla moglie, la presenza di i veleni sversati di notte nel giardino della loro abitazione a Barcellona Pozzo di Gotto. Aria irrespirabile, bruciore alla gola e piante appassite. Per questo ora è indagato il loro parente e vicino di casa. Nel corso di una perquisizione, i carabinieri hanno sequestrato a casa di Ugo Manca un bidone contenente alcune sostanze non poste in libera vendita. Non certo il primo sospetto che si addensava sul nipote. In un’interrogazione parlamentare, firmata anche dall’allora procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, presentata ai ministri dell’Interno e della Giustizia, si leggeva già: «Nel 2004 e nel 2005 i coniugi Manca presentarono esposti in procura rappresentando per la morte del figlio Attilio sospetti sul coinvolgimento di soggetti barcellonesi legati alla locale cosca mafiosa e anche del nipote Ugo Manca. Da allora – si legge ancora nell’interrogazione – Ugo e il padre Gaetano misero in atto comportamenti vessatori e intimidatori nei loro confronti».

Una storia, quella di Attilio Manca, su cui ci sono ancora più zone di ombra che di luce ma che sarà anche raccontata in un film. «Usiamo il cinema come strumento di pressione sociale – spiegano le due ideatrici, Giulia Zanfino e Francesca Scoleri – e per dare una giustizia almeno storica. Perché quella giudiziaria, a volte, tarda ad arrivare o non arriva mai. Ci stiamo muovendo con determinazione e abbiamo pensato di coinvolgere Elio Germano per fargli interpretare il ruolo di Attilio».

Marta Silvestre

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