L'attivismo dell'imprenditore ed ex deputato di Forza Italia non si sarebbe registrato solo in Sicilia. Nella Capitale si sarebbe mosso per avallare la nomina a sottosegretario del promotore della flat tax. Sullo sfondo resta la presunta tangente da 30mila euro
Rinnovabili, le cortesie tra Paolo Arata e Armando Siri Sponsor americani, emendamenti e l’ombra di Nicastri
Siri per fermare il decreto Calenda sulle rinnovabili, Siri per condizionare il contratto di governo tra M5s e Lega, Siri per riuscire a inserire gli emendamenti sul mini-eolico nel decreto Milleproroghe, poi nella legge di stabilità, dopo ancora nel decreto Semplificazioni. In definitiva Siri per far sì che, in un modo o nell’altro, le società guidate, secondo i magistrati, insieme a Vito Nicastri potessero ottenere gli incentivi necessari affinché gli investimenti fatti non si rivelassero un fiasco.
Leggendo l’informativa della Direzione investigativa antimafia depositata nel procedimento romano – in cui l’ex sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri è indagato insieme a Paolo Arata per corruzione – verrebbe da dire che Arata era solito interpellarlo con una frequenza da fare concorrenza agli utenti più affezionati dell’omonimo assistente intelligente della Apple.
L’attivismo di Arata – ex deputato di Forza Italia reinventatosi imprenditore, pur rimanendo vicino alla politica, al punto da essere considerato consulente energetico del partito di Salvini – non si sarebbe registrato soltanto in Sicilia, con il costante pressing attuato su uffici e vertici del governo regionale, ma anche nella Capitale. Un’azione che, avendo come fine la tutela degli interessi condivisi con Nicastri, l’imprenditore accusato di essere vicino a Matteo Messina Denaro, non avrebbe risparmiato gli uomini di potere. Anche internazionali. Dall’ex sottosegretario Gianni Letta a Silvio Berlusconi, dal discusso ex consigliere di Trump e oggi sostenitore dei movimenti sovranisti Steve Bannon al cardinale statunitense Raymond Leo Burke, Arata le avrebbe provate tutte per prepararsi il terreno.
Il primo obiettivo, in tal senso, sarebbe stato quello di ingraziarsi Siri, spendendo le proprie conoscenze affinché il senatore potesse ottenere un incarico di governo. Scenario che avrebbe gratificato il parlamentare leghista, fornendo ad Arata la sicurezza dettata dall’avere una persona di fiducia all’interno dell’esecutivo. «Bravo, tu sai fare politica. Finalmente uno con le palle», sono le parole di incitamento che gli uomini della Dia intercettano a inizio aprile dell’anno scorso. A scriverle in un sms è proprio Arata, felice nel constatare che il senatore avesse fatto quanto richiestogli. Ovvero mandare una nota alle agenzie di stampa in cui, a nome della Lega, criticava il progetto del ministro uscente allo Sviluppo economico Carlo Calenda di volere andare avanti con il nuovo decreto ministeriale sulle rinnovabili, un testo poco favorevole ai piccoli impianti come quelli di proprietà degli Arata. L’ex deputato di Forza Italia – anche richiamando il proprio passato a Montecitorio – sottolinea come l’agire di Calenda sia delegittimato dal risultato delle elezioni politiche del mese precedente, che avevano decretato la sconfitta netta del centrosinistra. In quel momento, infatti, ci sono in corso le trattative per formare il nuovo governo. E Lega e M5s che iniziano a piacersi. «Intanto blocchiamolo», dice Arata parlando del decreto di Calenda. «Va bene», è la risposta di Siri.
Contestualizzare il momento politico in cui emergono i contatti tra Arata e Siri è fondamentale per inquadrare la tesi della procura. Il senatore leghista, infatti, si sarebbe mostrato interessato ad andare incontro alle richieste di Arata con l’intento di ottenerne un tornaconto. Benefit che in quella fase significava agguantare un incarico. Ma per quanto il senatore dimostri abnegazione, riuscendo anche a far sì che nel contratto di governo sottoscritto da M5s e Lega trovasse spazio il biometano, il percorso verso la nomina a sottosegretario è tutt’altro che semplice. Tra loro e nel privato, i due alternano fiducia a momenti di apparente scoramento. «Cazzo, pensa un po’ che Armando l’ho fatto chiamare io da Berlusconi», racconta soddisfatto un giorno Arata al figlio, sottolineando l’affidabilità di Gianni Letta nelle vesti di intermediario con l’ex premier, al quale sarebbe spettato il compito di spendere una buona parola per Siri. Tuttavia, una telefonata non basta. O perlomeno quella. Così Siri comunica ad Arata il timore di trovarsi davanti a un veto le cui radici porterebbero direttamente dentro al Quirinale. «Alcune fonti mi dicono che potrei essere nei nomi, ma c’è una resistenza da parte di Mattarella. Quindi questo vuol dire che i nostri amici non hanno fatto niente, perché figurati se Mattarella fa resistenza se arriva un input da quelle persone di cui abbiamo parlato», commenta il senatore leghista.
Ma chi sono gli «amici» a cui allude Siri? Per gli investigatori non ci sono dubbi: si tratta di Bannon e di Burke. D’altra parte se in merito al primo sono diverse le intercettazioni che lo tirano in ballo – ma l’uomo non è indagato – specialmente per la conoscenza con Federico Arata (non indagato), uno dei figli di Paolo, la voce del secondo finisce direttamente nei file acquisiti dagli investigatori. Tra promesse e preghiere, il cardinale Burke assicura di volere fare la propria parte, anche se i risultati non sembrano arrivare. «Io sono preoccupato perché ho comunicato con questi politici… ma non mi hanno risposto», ammette il porporato ad Arata. Quest’ultimo, a sua volta, rivolgendosi a Siri fa presente che forse le difficoltà nascono dal fatto di non essere conosciuto a sufficienza. A partire da Mattarella. «Abbiamo fatto un errore, che tu non gli hai scritto dicendogli che potevi andare a trovarlo per spiegargli meglio la flat tax», riflette Arata. Venendo però stoppato subito da Siri. «Ma mica mi posso mettere a scrivere al presidente dicendogli una cosa del genere eh…»
Nonostante tutto, alla fine la nomina arriva e Arata ritiene di avere piazzato un colpo fondamentale. «Io c’ho due cappelli, Regione e lì (al governo nazionale, ndr) con Armando che mi segue in toto», dice l’imprenditore al figlio quando la squadra di governo deve ancora essere definita. Con l’incarico a Siri, però, gli affari degli Arata e dei Nicastri non svoltano. Con il passare dei mesi e fino a inizio 2019, le occasioni per introdurre i provvedimenti da sfruttare per spingere l’iter per la realizzazione degli impianti in Sicilia passano una dopo l’altra. Capita anche che ci si spazientisca. Accade per esempio a Francesco Arata, il figlio che è indagato nell’inchiesta palermitana, e Manlio Nicastri, anche lui arrestato insieme al padre. Mentre chi si mostra ancora una volta più ottimista di tutti è Arata senior.
L’ex deputato forzista si fa forza del rapporto che ormai lo lega a Siri, ma anche del fatto che nessun servigio è stato fatto gratis. In ballo, infatti, ci sono i 30mila euro che per i magistrati sarebbero un’evidente espressione di accordo corruttivo, anche se non è chiaro se la tangente sia stata pagata o soltanto promessa. «Io ad Armando Siri, ve lo dico… gli do 30mila euro, però è un amico come lo fossi tu», sono le eloquenti parole pronunciate da Paolo Arata. C’è poi un altro passaggio avvolto nel mistero in cui lo stesso, citando il nome «Armando», si rivolge a Manlio Nicastri e dice: «Armando questo… l’ha conosciuto anche tuo papà, è venuto a pranzo anche a casa mia». Il figlio del re dell’eolico risponde: «Sì, sì, lo so». Nei documenti del presunto incontro, tra il leghista e l’imprenditore ritenuto vicino a Messina Denaro, non viene fornita però nessuna contestualizzazione da parte degli investigatori. Inoltre gli avvocati di Nicastri e Siri, attraverso Il Fatto Quotidiano, hanno smentito che il faccia a faccia ci sia mai stato.