Il consulente di Salvini prestanome di Vito Nicastri Da Pierobon a Miccichè, interlocutori alla Regione

Paolo Aratail consulente di Matteo Salvini per le politiche energetiche nonché per un periodo tra i papabili a guidare l’Arera (l’Autorità di regolazione dell’energia) in quota Lega – sarebbe un prestanome di Vito Nicastri, il re dell’eolico che avrebbe messo a disposizione di Matteo Messina Denaro le sue competenze nelle rinnovabili. L’indagine della procura di Palermo – che vede coinvolto anche il sottosegretario della Lega Armando Siri – svela un retroscena inquietante: i nuovi presunti tentativi di Cosa Nostra di investire in un settore da tempo a forte rischio. E di farlo potendo contare su colletti bianchi di altissimo livello. I magistrati accusano Arata, già deputato di Forza Italia tra il ’94 e il ’96, e il figlio Francesco di gestire solo formalmente un reticolo di società operanti nel mercato delle energie rinnovabili, ma «di fatto partecipate occultamente da Nicastri, vero regista delle strategie imprenditoriali». Un uomo che lo stesso Arata definisce «la persona più brava dell’eolico in Italia». Ad Arata padre e figlio viene contestata l’aggravante di avere agevolato la mafia. 

Le competenze e le risorse economiche di Nicastri – condannato per corruzione e truffa, a processo per concorso esterno alla mafia e il cui patrimonio è stato oggetto di confisca milionaria – insieme alle conoscenze di Arata. Un mix letale che avrebbe permesso alle società di concludere affari soprattutto in Sicilia. Grazie anche, è questa l’accusa dei pm Paolo Guido e Paolo Ielo, a due funzionari della Regione che sarebbero stati corrotti: il dirigente Alberto Tinnirello e il funzionario Giacomo Causarano, entrambi al servizio 3 Autorizzazioni e concessioni del dipartimento dell’Energia. Al primo sarebbe stata data una somma di denaro che gli inquirenti non sono riusciti a quantificare, a Causarano sarebbero stati pagati undicimila euro, attraverso il figlio.

Ma non solo. Grazie alla sua passata militanza in Forza Italia, alla carriera da docente universitario e alla vicinanza con la Lega, gli agganci di Arata per sbloccare autorizzazioni e far andare avanti progetti (soprattutto due sul bio-metano a Calatafimi e Francofonte) sarebbero stati soprattutto politici: dagli assessori regionali Alberto Pierobon e Toto Cordaro al presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè, fino all’ex ministro Dc Calogero Mannino. Nessuno di loro risulta indagato.

«È emerso – scrivono i pm nel decreto di perquisizione – che Arata ha trovato interlocutori all’interno dell’assessorato all’Energia, tra tutti l’assessore Pierobon, grazie all’intervento di Gianfranco Miccichè, a sua volta contattato da Alberto Dell’Utri (fratello di Marcello). Poi, quando l’epicentro della fase amministrativa diveniva l’assessorato al Territorio (per la verifica di assoggettabilità del progetto alla Valutazione d’impatto ambientale), Arata è riuscito a interloquire direttamente con l’assessore Cordaro e, tramite questi, con gli uffici amministrativi di detto assessorato, dopo aver chiesto un’intercessione per tale fine a Calogero Mannino».

In particolare gli Arata attraverso la Alqantara srl (da loro formalmente partecipata) o personalmente (sia Paolo, che la moglie Alessandra Rollino, che il figlio Francesco), hanno acquisito partecipazioni nella Etnea srl (operante nel settore del mini-eolico, con 10 turbine già produttive), nella Solcara srl (titolare di sei torri mini-eoliche già produttive), nella Solgesta srl (partecipata, prima al 50 per cento, poi interamente, da Solcara srl, impegnata in due progetti di costruzione di impianti di produzione di bio-metano), nella Bion srl (fotovoltaico) e nell’Ambra Energia srl (fotovoltaico). Tutte queste società avrebbero come socio occulto Vito Nicastri. I rapporti tra il discusso imprenditore e Arata non si sarebbero fermati neanche dopo che Nicastri è finito prima in carcere e poi ai domiciliari.

Altro socio occulto di alcuni affari sarebbe Francesco Isca, imprenditore del calcestruzzo arrestato oggi nella stessa operazione con l’accusa di associazione mafiosa. Secondo i magistrati, la sua presenza e «i suoi guadagni spropositati» sono stati «imposti per ragioni non altrimenti individuabili che per l’appartenenza di Isca all’associazione mafiosa o per le garanzie che questi è in grado di assicurare a chi opera sul territorio». La sua presenza sarebbe stata accertata, ad esempio, negli affari della società Solgesta Srl, impegnata nella realizzazione di impianti di bio-metano. Lo stesso Paolo Arata, intercettato, dice: «[Isca] ha fatto un accordo con suo papà [si riferisce a Vito Nicastri, ndr], in cui entrava come partner diciamo di finanziamento all’operazione per il biometano».


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