Il Consiglio dei ministri ha deliberato di impugnare la legge della Regione Siciliana dello scorso novembre sugli assegni vitalizi. Lo si legge nel comunicato di Palazzo Chigi al termine del Cdm.
Alcune «disposizioni riguardanti i trattamenti previdenziali e i vitalizi del presidente della Regione, dei consiglieri e degli assessori regionali violano – si legge – il principio di uguaglianza e ragionevolezza, sancito dalla Costituzione, nonché i principi di coordinamento della finanza pubblica e di leale collaborazione».
Si tratta delle legge che, in forte ritardo rispetto alle altre Regioni e trascinandosi dietro infinite polemiche, fu approvata a fine novembre per tagliare i vitalizi. Ne venne fuori una soluzione siciliana molto distante da quella adottata dal parlamento nazionale. Il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè ha sempre accusato la norma approvata a Roma di incostituzionalità e, prima di procedere all’approvazione del ddl all’Ars, aveva spiegato di aver trovato un informale via libera proprio dagli uffici ministeriali. «Al ministero – diceva Micciché a Meridionews – ci dicono che è difficile che la nostra norma si possa impugnare. Al massimo, l’unico dubbio è rispetto alla durata del taglio, relativo alla legislatura in corso. Ma noi nella norma abbiamo pensato un taglio di cinque anni, prendendo spunto da una sentenza della Corte Costituzionale che indica che il taglio sia fatto in maniera ragionevole, dunque non del 50 per cento, e che abbia la caratteristica della temporaneità. Dunque lo abbiamo proposto per la legislatura in corso».
Nell’isola è stato approvato un taglio lineare del 9,25 per cento, con una ulteriore riduzione del 5 per cento che si applicherà per gli assegni da 32 a 62 mila euro annui e del 10 per cento per quelli oltre i 62 mila euro. Con un risparmio di 1,6 milioni all’anno su un costo complessivo di 18 milioni. La norma passò con 38 voti favorevoli (quelli del centrodestra e del Pd a eccezione del deputato Vincenzo Figuccia) e senza la presenza in aula del gruppo dei Cinque stelle che non partecipò per protesta contro una legge definita «scandalosa».
Di fronte a una comunque possibile impugnativa del governo nazionale, Micciché qualche mese fa diceva: «Quasi quasi me lo auguro. Mi piacerebbe che la Corte Costituzionale si esprimesse sulle due norme, quella siciliana e quella romana: sono convinto che non sarebbe la nostra a essere dichiarata incostituzionale». Il consiglio dei ministri lo ha accontentato.
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