«Vendere i beni confiscati? Un’impresa»

La Lombardia è la quinta regione d’Italia per numero di beni confiscati alla mafia (655), la terza per numero di aziende. Secondo il rapporto di Sos impresa del 2008, sono 15 mila i commercianti che subiscono il pizzo, l’11.4% del totale (in Sicilia sono il 28.1%) per un giro d’affari di 1,3 milioni di euro. Le denunce sono aumentate: sono state 77 nel 2005, 98 l’anno successivo.
Da poco più di un mese due norme possono migliorare questo quadro: il Consiglio dei Ministri a fine gennaio ha istituito l’Agenzia per i beni confiscati alle mafie, e negli stessi giorni Confindustria ha fatto sua la delibera già in vigore presso Confindustria Sicilia: espulsione per le aziende che non denunciano il racket. Serviranno? Ne abbiamo discusso con Lorenzo Frigerio, referente di Libera per la regione Lombardia.

A che punto è l’iter per rendere operativa l’Agenzia per i beni confiscati? Qual è l’opinione dell’associazione Libera a proposito?
«È già da cinque anni che Libera avanzava questa proposta. Abbiamo sempre detto che ci vuole un soggetto unico che segua tutto l’iter, dal momento in cui il bene viene sequestrato a quando infine viene destinato a fini sociali o istituzionali. Perché fino ad ora non ha funzionato: troppe competenze e troppi soggetti che devono intervenire, allungando i tempi».

Qual è la proporzione tra i beni confiscati e quelli poi effettivamente destinati ad usi sociali?
«C’è una stima della Direzione Investigativa Antimafia secondo cui dal 1992 al 2006 sono stati sequestrati beni per un valore di 4,3 miliardi di euro. Nello stesso periodo il valore dei beni confiscati è di 744 milioni. Se ne perdono moltissimi durante l’iter, perché il processo va avanti dando esiti potenzialmente diversi: può capitare che il soggetto in questione non è un mafioso, o che il bene non sia di sua proprietà. In questi casi i beni vengono dissequestrati».

A ciò subentrano le difficoltà a cui vanno incontro gli enti comunali…
«Certo, perché il bene confiscato prima entra a far parte del demanio, poi viene affidato ai Comuni che ne diventano i proprietari. Spesso quindi sono loro a dover sostenere le spese di restauro. Si alternano, insomma, soddisfazione e fastidio».

L’agenzia agevolerebbe l’iter per giungere alla confisca definitiva?
«Sì, ma c’è un inghippo. Nell’ultima finanziaria è stata introdotta una norma che prevede la vendita dei beni che non sono stati destinati ad usi sociali entro tre o sei mesi. Di colpo con quella norma i 3200 beni che, dall’entrata in vigore della legge La Torre ad oggi, non sono stati ancora destinati potrebbero essere venduti a fine marzo. È una sciagura, considerando che il 30% è coperto da mutui e ipoteche, il 33% è occupato dai familiari dei mafiosi. Risolviamo questi problemi prima. Altrimenti l’agenzia non funzionerà, limitandosi ad una funzione immobiliare. È un modo per svuotare la legge dal suo interno, perché si cancella il valore del riutilizzo a fini sociali che la norma prevedeva».

Attualmente quanto passa in media prima che un bene sequestrato venga destinato ad usi sociali?
«Oggi ci vogliono tra i 7 e i 10 anni».

Confindustria ha deciso di espellere chi non denuncia il pizzo. Come pensa verrà recepita questa decisione in Lombardia e nel resto d’Italia?
«È una decisione importante, ma purtroppo credo che in Lombardia non verrà applicata perché nessuno verrà denunciato per non aver pagato il pizzo. Servirebbe attenzione non solo da parte della magistratura ma anche di organi di controllo interni. Non lamentiamoci sempre che la magistratura fa politica quando la stessa Confindustria poi non controlla. Non si può sempre delegare».

‘Ndrangheta, cosa nostra, camorra: tutte fanno affari a Milano. Esiste una pax mafiosa in nome del profitto? Che rapporti di forza ci sono tra le organizzazioni?
«È nei fatti: non si spara, non si ammazza. Appaltano ad organizzazioni estere alcuni settori del business del controllo del territorio: lo spaccio è affidato ai maghrebini, il controllo della prostituzione è in mano alle mafie dell’est. Sono cose che alle grandi mafie non interessano più, mentre si concentrano sui grandi affari e il traffico di droga che consentono un’equa spartizione dei proventi. Tuttavia si può tranquillamente dire che oggi a Milano la mafia siciliana è in una posizione subalterna rispetto alla ‘ndrangheta».

Salvo Catalano

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