Il rettore Antonino Recca lo aveva asserito anche ai microfoni di Radio Zammù, annunciando la scelta del numero chiuso generalizzato con largo anticipo (per poi contraddirla solo con l’eccezione dei corsi decentrati a Ragusa): «E’ la legge che ce lo impone». Eppure, dal Politecnico di Torino, al Bo di Padova, a Ca’ Foscari di Venezia, e proseguendo dall’Alma Mater di Bologna, a Pisa, alla Sapienza di Roma, alla Federico II di Napoli, giù giù fino a Messina e Palermo, nessuna delle università statali italiane, – grandi, piccoli e medie – ha però avvertito questa imperiosa necessità di imporre il numero chiuso in tutti i corsi di laurea. Scorrendo la “Grande guida dell’Università”, curata da Repubblica in collaborazione col Censis, la redazione di Step1 così come gli studenti catanesi e le loro famiglie si sono accorti che il simbolo dei corsi “col lucchetto” compare dappertutto soltanto a Catania. Quindi l’urgenza di mettersi in pari con la Gelmini non era poi così stringente… La sorpresa è stata grande anche tra i docenti. Alcuni – off the records – ci hanno risposto cadendo dalle nuvole: «Non lo sapevamo!».
In tutti gli altri atenei, dunque, a parte le lauree a numero programmato nazionale, i corsi “col lucchetto” si contano sulle dita di una mano e il numero chiuso è stato adottato solo dove, dopo un’attenta riflessione, le singole facoltà hanno reputato che esso fosse indispensabile per eccesso di domanda o grave deficit di docenti. In tutti gli altri casi la prova d’accesso è stata modulata per accertare se la preparazione di base è sufficiente ad affrontare gli studi universitari. A nessuno è venuto in mente di inserire “a tappeto” meccanismi orientati all’esclusione a priori delle aspiranti matricole, come se dovesse trattarsi di una brutta copia (molto facilitata) dei test per l’ammissione a Medicina. Ovunque, insomma, si è cercato di lavorare in positivo, col preciso obiettivo di garantire attività di sostegno – “offerta formativa aggiuntiva” – nel tentativo di limitare gli abbandoni e i fuoricorso. Di questa “offerta formativa aggiuntiva”, nella maggior parte delle facoltà catanesi si sta appena iniziando a parlare, le idee sembrano confuse e i mezzi per realizzarla inconsistenti. L’importante era far quadrare i conti: tanti posti “a concorso”, tante matricole.
Le graduatorie definitive per i corsi di laurea e laurea magistrale a ciclo unico sono adesso affisse sul portale d’Ateneo e i conti, a sorpresa, non tornano. Il delegato del Rettore alla didattica aveva avanzato una previsione molto ottimistica. Partendo dalla considerazione che l’offerta per il 2010-2011 è di circa 9200 posti nei vari corsi di laurea, il professor Cozzo stimava che i test selettivi avrebbero escluso un numero di studenti più o meno pari alle matricole che in genere abbandonano gli studi al primo anno di corso. «Quello che perderemo già a priori sono queste persone», aveva dichiarato a Step1.
Purtroppo non è andata così. L’offerta didattica è stata allineata in bella mostra sugli scaffali del supermarket dell’Università di Catania. Alcuni prodotti sono andati esauriti, lasciando delusi i consumatori, diversi altri sono rimasti invece invenduti. Il meccanismo del “concorso” – al prezzo di quaranta euro per ogni biglietto – impedisce di ammettere chi non aveva provveduto a rifornirsi di un numero sufficiente di biglietti o aveva espresso la propria preferenza per generi troppo appetiti.
Vediamo quali sono i corsi di laurea sold out e quelli più o meno drammaticamente sottoquotati, che adesso non sono più buoni neppure per la stagione dei saldi.
Occorre mettere da parte tre facoltà. Da un lato Medicina e Architettura (oltre al corso di Ingegneria edile), a numero programmato nazionale. Dall’altro Farmacia e il corso di Scienze biologiche, al cui interno non si può dire quanti siano i futuri farmacisti e biologi e quanti i potenziali studenti di Medicina frustrati, parcheggiati in attesa di tempi più fortunati. Nei corsi di laurea a numero programmato nazionale, il raggiungimento dell’offerta formativa era più che scontato, a Farmacia e Scienze biologiche la quota degli abbandoni al secondo e terzo anno è imponderabile.
Delle nove facoltà rimanenti, soltanto tre sono quelle in cui il termine “selezione” rispecchia il comune significato di questa parola. Si tratta di Economia, Lingue e Letterature straniere e Scienze della formazione: le uniche facoltà per le quali – in presenza di un drastico decurtamento del numero massimo di iscritti al primo anno – l’esistenza di un concorso di ammissione non è stata una finzione. Economia, Lingue e Scienze della formazione sono state costrette a respingere un numero consistente di aspiranti matricole benché la domanda ci fosse. La facoltà di Ingegneria è stata invece l’unica ad aver fatto registrare un sufficiente equilibrio tra l’offerta di posti a concorso e il numero di candidati.
Da questo punto in poi si entra nel regno del nonsenso. Il nostro ateneo si è fatto fiero anticipatore della finta meritocrazia, protagonista di ciò che appare, da ogni punto di vista, un rito inutile ma non privo di conseguenze negative. Cinque infatti le facoltà per le quali l’inserimento di un test selettivo era in partenza inutile: Agraria, Giurisprudenza, Lettere, Scienze MM.FF.NN. (tranne alcuni corsi), Scienze politiche.
Ad Agraria tutti i corsi di laurea sono “in rosso”: 49 matricole su 150 posti a “Pianificazione, progettazione e gestione del territorio”, 93 su 150 posti a “Scienze e tecnologie agrarie”, 118 su 150 a “Scienze e tecnologie alimentari”. Nel suo complesso la facoltà, in attesa delle immatricolazioni definitive, potrebbe raggiungere nella sede di Catania un massimo di 260 neoiscritti (meno 42% rispetto al tetto massimo programmato). Per tutte le matricole di Agraria comunque c’è una bella notizia: la registrazione di “debiti formativi” è stata ridotta a soglie minime e gli obblighi formativi aggiuntivi saranno di conseguenza poco più che simbolici.
Neppure Giurisprudenza, come sempre molto gettonata, ha realizzato l’en plein. Sui 1.250 posti a disposizione ci sono 1.117 “vincitori”. La pertinenza del termine “concorso” è messa in dubbio da un fatto assai singolare. Gli ultimi sei della lista degli ammessi sono a zero punti. Avranno presentato foglio bianco?
Al test di Lettere si sono presentati in 1.235. In pratica però solo poco più della metà aveva scelto i corsi di Lettere e Filosofia come prima o seconda scelta. Sicché il meccanismo delle opzioni ha prodotto questi risultati: per il corso di “Filosofia” su 150 posti a disposizione ci sono 104 “vincitori”, per il corso di “Beni culturali” su 230 posti potranno iscriversi solo 117 matricole e a “Scienze della comunicazione” in 292 su 300 posti. L’unica eccezione di sold out si è determinata nel corso di laurea in “Lettere” (230 posti), per il quale sono stati esclusi 110 aspiranti che potranno solo parzialmente essere ammessi in seguito a “scorrimenti” della relativa graduatoria. Considerata nel suo complesso la facoltà di Lettere, che aveva messo in palio 910 posti, si ritrova con un potenziale massimo di 743 matricole. Quanto agli effetti “virtuosi” dell’accertamento delle conoscenze di base c’è da notare che risultano “idonei senza debiti” candidati che hanno totalizzato 1,75 sulle 10 domande di “Comprensione di testi in lingua italiana”. Viene da chiedersi che tipo di domande sono state poste, ma purtroppo non se ne trova traccia online.
Nessuna novità di rilievo a Scienze MM.FF.NN. al cui interno continuano ad essere sottovalutati dalle matricole i corsi di “Chimica industriale” (36 “vincitori” su 75 posti), “Matematica” (57 su 75) e “Fisica” (80 su 150). Mentre a Scienze politiche il solo corso di laurea integralmente coperto è stato quello per assistenti sociali: 50 posti (a numero chiuso da sempre). “Storia e scienze dell’amministrazione” vede soltanto 57 “vincitori” su 230 posti a disposizione, “Politica e relazioni internazionali” 128 su 300, “Sociologia” 172 su 250, “Scienze dell’amministrazione” 212 su 250. Nel suo complesso la facoltà perde circa il 50% del suo potenziale di immatricolati.
La conclusione che si può trarre da questa lunga sfilza di numeri è la conferma che, nella maggior parte dei casi, il test ha avuto il solo effetto di inserire rigidità controproducenti che non consentono di recuperare alcuni degli studenti esclusi dalle selezioni. Nel suo complesso, il numero di matricole dell’Università di Catania potrebbe attestarsi a 1.500 unità in meno rispetto all’offerta didattica programmata.
Ma le perplessità non finiscono qui. Si è inteso adottare una selezione spesso non necessaria in nome di una finta “eccellenza”. Il carrozzone dei test è apparso come uno spreco di energie e di risorse che avrebbero potuto essere più opportunamente convogliate in azioni di sostegno nella formazione di base, mentre i test sono stati raramente orientati a un serio accertamento delle lacune. C’è inoltre il rischio di rigidità burocratiche nel passaggio dall’uno all’altro corso di laurea della stessa facoltà, allorché il problema si presenterà al secondo anno di corso.
Il nostro ateneo, insomma, ha voluto fare “il primo della classe”, anticipando – caso unico in Italia – disposizioni ministeriali che non erano ancora in vigore. Non può esistere meritocrazia dove si comprimono le opportunità e ci si applica a peggiorare le disposizioni ministeriali in modo acritico e scarsamente attento alla varietà delle diverse discipline. L’università non è un supermarket o una catena di negozi al dettaglio. Non può essere gestita prescindendo dalla riflessione sull’offerta didattica che può essere sviluppata solo all’interno delle facoltà, ascoltando anche le aspirazioni degli studenti. Quel che colpisce non sono soltanto le responsabilità degli organi collegiali dell’ateneo, ma il silenzio di un corpo docente indifferente e rassegnato a tutto.
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