Tool – 10,000 Days (2006, Volcano II)

TRACKLIST:
1 Vicarious
2 Jambi
3 Wings For Marie (pt 1)
4 10,000 Days (Wings pt 2)
5 The Pot
6 Lipan Conjuring
7 Lost Keys (Blame Hofmann)
8 Rosetta Stoned
9 Intension
10 Right In Two
11 Viginti Tres

I Tool si sciolgono. I Tool si sono sciolti. Keenan pensa solo agli A Perfect Circle. I membri dei Tool stanno lavorando di nuovo insieme. I Tool forse faranno un nuovo album. I Tool stanno lavorando al nuovo album. Ufficiale, il due maggio del 2006 verrà pubblicato il nuovo album dei Tool. Sono più o meno queste le grandi linee biografiche che hanno segnato la cronistoria degli ultimi cinque anni dei Tool, i cinque interminabili anni intercorsi fra il capolavoro “Lateralus” (2001) e questo 10,000 Days, diecimila giorni (forse un po’ meno…) di attesa e trepidazione per tutti i seguaci della band simbolo, ed ormai punto di riferimento, del rock statunitense. E così, fra indiscrezioni e dichiarazioni ufficiose, informazioni rubate e comunicati sul sito ufficiale, abbiamo adesso fra le mani il tanto agognato cd, pronti per un primo ed intenso ascolto. Gli oltre sette minuti di Vicarious, primo singolo estratto dall’album, ci introducono direttamente nei meandri di un classico lavoro targato Tool: soffice intro chitarristico e subitanea esplosione, solita voce infernale di Maynard, ed un tema conduttore del testo che ricalca fin dall’inizio il percorso intrapreso con “Ænima” e continuato con “Lateralus”, costellato dai vecchi fantasmi che intorpidiscono la labile mente umana (While the mother holds her child / Watches them die / Hands to the sky crying, / “Why, oh why?”). La successiva Jambi rappresenta invece il più forte punto di collegamento con “Lateralus”, un po’ “The Grudge” un po’ “Parabola”, lunghe divagazioni strumentali ed una voce, quella di Keenan, che riesce sempre a sorprendere per la mole di differenti intonazioni che riesce ad attraversare.

Il binomio composto da Wings For Marie (pt 1) e la titletrack 10,000 Days (Wings, pt 2) è da considerarsi come un unico lunghissimo brano, diciassette minuti ed una manciata di secondi la sua durata complessiva, una sorta di concept in cui ritornano le dolci parole di Maynard nei confronti della madre Judith, più volte al centro delle sue composizioni (You were my witness, my eyes, my evidence, Judith Marie, unconditional one). Una voce quasi in falsetto apre The Pot, probabilmente l’episodio migliore dell’album, brano che, per la sua struttura ed un cantato melodico palesemente frutto dell’esperienza maturata da Keenan negli A Perfect Circle, si presterebbe benissimo ad essere accompagnato da uno dei fantastici videoclip che i Tool hanno saputo regalarci nell’arco della loro carriera. Le tracce numero sei e sette, rispettivamente Lipan Conjuring e Lost Keys (Blame Hofmann), fungono da intermezzo fra le due parti più corpose di “10,000 Days”: “Lipan Conjuring” è una breve strumentale (poco più di un minuto) sul cui sfondo si ode l’intonazione di un canto la cui origine è probabilmente indiana, mentre “Lost Keys (Blame Hofmann)” altro non è se non un dialogo fra medico ed infermeria, la cui provenienza ed ispirazione risulta apparentemente ignota. Il ritmo ritorna alto con Rosetta Stoned, nella quale i riff della sei corde di Adam Jones dettano i tempi degli undici e passa minuti di durata, risultando fra i più intensi dell’intero lavoro.

Una base ritmica dal sapore etnico attraversa invece la lenta e compassata Intension, brano che precede Right In Two, altro picco emozionale di “10,000 Days” ed effettiva ultima traccia dell’album; la conclusione è infatti affidata a Viginti Tres, pezzo interamente strumentale, che parte con un affannoso respiro e continua con una serie di effetti rumoristici ed elettronici che accompagnano fino alla fine.

Arrivati agli sgoccioli di questi diecimila giorni, la netta sensazione è che i Tool non abbiano affatto abbandonato la retta via, il lavoro è ai livelli dei suoi predecessori e come sempre merita più di un ascolto per riuscire a sviscerarne i reconditi significati. Ma abbiamo tempo, altri lunghi anni di attesa si profilano all’orizzonte. E noi aspetteremo con immutata ammirazione.

Emanuele Brunetto

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