Progetti, bandi, candidature. Annunci che si susseguono da due anni, con un aumento vertiginoso da quando quello che doveva essere il futuro sembra sempre più la soluzione – tardiva – al presente: creare una filiera dell’idrogeno verde in Sicilia per rispondere alla crisi energetica e ambientale. Un obiettivo ambizioso, sostenuto da finanziamenti non sempre all’altezza e che al momento sembrano avere all’orizzonte soprattutto i colossi della raffinazione sull’Isola. Alle prese con una riconversione degli impianti dispendiosa ma ormai non più rimandabile per rispettare la tabella di marcia di decarbonizzazione entro il 2050 imposta dall’Unione europea. E a non fare eccezione sembra essere anche il nuovo bando del Pnrr che assegna alla Regione Siciliana 40 milioni di euro per progetti di impianti di produzione e stoccaggio dell’idrogeno verde in aree industriali dismesse. Un’occasione che potrebbe essere condivisa con i territori – e gli abitanti – in cui queste aree ricadono. Coinvolti però solo a tratti nei processi decisionali, andati avanti a singhiozzo secondo i ritmi della politica.
Un passo indietro è necessario. Se in principio furono le rinnovabili – dal boom dell’eolico al solare – presto ci si è resi conto che queste fonti, da sole, non avrebbero mai davvero reso autonomi dall’energia da fonti fossili. Troppo dipendenti dalla variabilità del clima e difficili da conservare al bisogno, la ricerca ha trovato la sua possibile risposta nell’idrogeno. Un elemento più che diffuso, ma complicato da trattare. A questo servono gli impianti di cui la Sicilia vorrebbe dotarsi in fretta: elettrolizzatori che prendano l’acqua e ne separino l’ossigeno dall’idrogeno, per utilizzarlo subito per alimentare un’auto, ad esempio, oppure bruciarlo in una caldaia per riscaldare. Oppure conservarlo: compresso in ingombranti serbatoi o nelle bombole, o in stato liquido, trasportabile anche in grandi navi come quelle che oggi portano il petrolio in giro per il mondo. Per poi trattarlo nuovamente, quando serve, con le celle a combustibile generando energia e calore (meno che all’inizio, ma si procede per compromessi). Dettaglio non trascurabile: come accendere e far funzionare questi elettrolizzatori? Se ancora con fonti fossili, si otterrà dell’idrogeno grigio; se con fonti rinnovabili, ecco che si arriva all’idrogeno verde.
Il primo passo dalla Sicilia in questa direzione arriva a gennaio 2021, quando la Regione con l’allora assessore Alberto Pierobon annuncia la volontà di candidarsi a ospitare la sede del Centro nazionale di alta tecnologia per l’idrogeno. Si inizia a discutere di Pnrr e della metà degli investimenti sul settore riservati al Sud. E, così, la possibilità di creare un’intera filiera sull’Isola – dalla produzione alla distribuzione – con due obiettivi principali: la riconversione delle industrie e la mobilità sostenibile. Compresa quella ferroviaria, che in Sicilia vede i treni viaggiare per un buon 40 per cento delle tratte su rotaie non elettrificate ma a diesel. All’appello rispondono oltre 90 soggetti, tra università, centri di ricerca e privati nel settore dell’energia: compresi Enel Green Power ed Eni, già protagoniste di progetti propri sull’idrogeno. Da Augusta a Gela, ancora una volta i primi a porsi il problema sono proprio i siti industriali, al momento fermi – nel migliore dei casi – all’uso di idrogeno non da fonti rinnovabili. L’ultimo annuncio in ordine di tempo è proprio di questi giorni e viene da Sasol e Sonatrach, due dei colossi della raffinazione in Sicilia intenzionati a invertire la rotta negli impianti di Augusta e Melilli. La base, comunque, è quella del Pears – il Piano energetico e ambientale della Regione siciliana – che mette nero su bianco il sogno di istituire da due a quattro hydrogen valley – degli hub di produzione, stoccaggio e distribuzione – ad esempio nei terminal portuali.
A interrompere l’entusiasmo ci pensa la politica: neppure un mese dopo il lancio della candidatura siciliana, il cambio al vertice del governo nazionale tra Giuseppe Conte e Mario Draghi impone uno stop. Il Pnrr è da ripensare. A lasciare, intanto, è anche l’assessore Pierobon, con l’arrivo nella giunta siciliana di Daniela Baglieri. Che si ritrova presto nel bel mezzo di un’emergenza rifiuti sull’Isola che ruba tutta la scena a qualunque pianificazione energetica. Almeno fino a settembre 2022 quando, complici le scadenze dei bandi per il Pnrr, si annuncia e istituisce formalmente un tavolo regionale apposito con decine di invitati: dai produttori di rinnovabili a università ed enti di ricerca, passando per associazioni istituzionali, operatori del mondo dei trasporti e i commissari straordinari delle Zone economiche speciali. Tavolo che però non si è ancora riunito, considerata la scadenza elettorale del governo di Nello Musumeci e il travagliato insediamento del governo di Renato Schifani. Comprensivo di pensionamento del dirigente generale del dipartimento Energia siciliano, sul filo per la pubblicazione del bando del Pnrr da 40 milioni per siti di produzione e stoccaggio dell’idrogeno verde in aree industriali dismesse. In mezzo, la misura da 500 milioni di euro per l’Italia dedicata proprio alla creazione di hydrogen valley, che però non ha coinvolto la Sicilia.
E il bando del Pnrr è proprio l’ultima puntata di questa storia: dal sogno di treni alimentati a idrogeno, hub nei porti e comunità energetiche per i cittadini, a rimanere in piedi al momento sembra essere solo l’opportunità per i colossi della raffinazione di un aiuto economico alla riconversione imposta dall’Ue. Tre le aree osservate speciali su cui potrebbero ricadere i progetti, da presentare tra l’1 e il 17 febbraio: Milazzo, Gela e il triangolo Augusta-Priolo-Melilli. Abbastanza vicine al mare – la fonte d’acqua non più semplice da trattare per ottenere idrogeno, ma certamente più affidabile in Sicilia, oltre alle acque reflue – e, come da bando, a chilometro zero rispetto a «un’area con industrie e/o altre utenze con domanda potenziale di idrogeno». Soprattutto considerato che il bando non copre i costi di un eventuale trasporto, ad esempio con una rete di apposite tubature, il che lo rende appetibile soprattutto nel caso in cui produttore e utilizzatore coincidano. Requisito principale, comunque, sarà svolgere il progetto in un’area industriale dismessa: con uno stop comunicabile anche lo stesso giorno di presentazione della domanda dei fondi, per l’intera area o anche solo per un pezzetto. Quello utile alla costruzione dell’elettrolizzatore. In ogni caso un primo passo – comunque urgente – verso l’obiettivo più ampio di una transizione ecologica generale.
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