La Sea Watch è stata dissequestrata. La decisione è stata presa dal procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella e la pm Cecilia Baravelli. La nave dell’ong tedesca era finita al centro di un braccio di ferro tra la magistratura e il governo dopo lo sbarco, lo scorso 18 maggio, a Lampedusa dei migranti che erano stati salvati in acque libiche, a 32 miglia a nord della città di Zuara. Il 20 maggio, la procura di Agrigento ha ordinato il sequestro probatorio dell’imbarcazione per violazione dell’articolo 12 del testo unico dell’immigrazione (che colpisce chiunque illegalmente promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri in Italia). Adesso, conclusi gli accertamenti, i pubblici ministeri hanno ritenuto cessate le esigenze probatorie e l’imbarcazione potrà lasciare il porto di Licata.
«Oggi abbiamo ricevuto la notizia ufficiale che la Sea Watch 3 non è più sequestrata – scrivono dall’ong sul profilo Facebook – È chiaro: non abbiamo infranto la legge, ma ci siamo nuovamente impegnati per il diritto marittimo e la convenzione di Ginevra sui rifugiati. Torneremo nella zona Sar il prima possibile – continua il post – per aiutare le persone che fuggono dalla zona di guerra della Libia. Il salvataggio non è un crimine». Il provvedimento, esecutivo sin da subito, è già stato notificato anche agli avvocati dell’unico indagato, il comandante della nave Arturo Centore, al quale viene contestato il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. «Continua la politica buonista di alcune procure – commenta il ministro dell’Interno Matteo Salvini – Non mi stupirebbe l’apertura di un procedimento penale a mio carico da parte del tribunale dei ministri di Catania».
In un primo momento, dal ministero dell’Interno era arrivato l’ok allo sbarco solo per «i bambini accompagnati e un uomo in precarie condizioni di salute», mentre la nave era ancora ferma davanti alle coste di Lampedusa con a bordo le 65 persone salvate nel Mediterraneo. Sulle motovedette della guardia costiera erano saliti sette bambini con i genitori (sette madri e tre padri) e un uomo disabile.
A bordo erano rimaste 47 persone quando il comandante ha annunciato «l’intenzione di entrare nelle acque territoriali italiane e dirigersi verso Lampedusa», violando il divieto imposto dal Viminale per motivazioni che l’organizzazione non governativa tedesca ha definito «umanitarie». Dopo giorni in mare aperto, infatti, le condizioni psicologiche delle persone erano diventate critiche e alcuni migranti avevano manifestato intenzioni suicide. Da Roma, però, era stata confermata la linea dura e il ministero dell’Interno non aveva autorizzato lo sbarco. «Sono complici dei trafficanti – avevano detto fondi del Viminale all’Ansa – Abbiamo buoni motivi per pensarlo e per dirlo».
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