‘Questo buio feroce’ di Pippo Delbono

Il pluripremiato autore e regista ligure Pippo Delbono presenta insieme alla sua Compagnia Questo buio feroce, opera contemporanea e sperimentale che trae il suo titolo dall’omonima autobiografia dello scrittore statunitense Harold Brodkey morto di AIDS nel 1996.

Delbono parte dall’omaggio all’artista americano per dare il via ad una sua nuova analisi del contemporaneo, attraverso una serie di scene che si susseguono senza continuità narrativa. In questo atto unico di novanta minuti, immagini potenti di vita e morte, in cui passato e futuro coesistono, si stagliano su una scenografia spoglia, una stanza bianca, riempita però dalla fisicità degli attori e da quello che essi rappresentano: la malattia, la solitudine, la falsità. Essi si muovono tra passato e futuro, indossano abiti antichi e alla moda, e proprio questa coesistenza di diversi spazi temporali testimonia che la riflessione di Delbono riguarda la coscienza umana senza tempo. Nei momenti in cui questa analisi mostra le realtà più scomode, ma anche più vere, i personaggi appaiono svestiti, quasi nudi, avvolti da una smorzata luce bianca che al contrario si fa accecante quando deve svelare le falsità della “normalità”. Solo nella scena dopo la morte la luce assume un gradevole tono di giallo confortevole e rasserenante.

 

Per smascherare il culto delle belle apparenze della società, il regista mette lo spettatore di fronte alle sue stesse ipocrisie, lo disturba con figure deformi e imperfette e scene paradossali come quella in cui il malato di AIDS canta fiero l’intramontabile “My Way” con fare da vero show-man. Il pubblico è, così, inevitabilmente posto davanti alla morte, ad una morte che però non è paura e perdita ma raggiungimento di pace, consapevolezza, e “rinascita” serena.

 

L’opera si compone di frammenti che si susseguono con un ritmo lento che contribuisce a mantenere diluita e persistente la sensazione di disagio di chi li osserva, provocata dalle azioni accompagnate da musiche drammatiche e violente che si alternano a motivi tristi e nostalgici. La voce fuoricampo, che rivela le verità e le considerazioni dello stesso autore, ha il tono caldo e disteso di chi riflette sulla vita e accetta la morte come presa di coscienza, e si contrappone alle voci distorte, stridule e urlate dei personaggi che rivelano gli orrori del nostro tempo e della storia.

 

Su questi orrori lo spettatore è portato a riflettere, sul buio feroce in cui la normalità avvolge il diverso, il malato, per paura e per comodità, in cui la maggior parte di noi li chiude per non vedere. E se è vero che l’opera di Delbono ci lascia infastiditi è proprio perché essa riesce a smuovere la nostra coscienza.

Agata Pasqualino

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