Quella malattia? E’ un’amante capricciosa

«Dire che la Miastenia Gravis è una patologia rara è improprio: piuttosto è trascurata, orfana di attenzioni e disconosciuta». Così definisce la sua malattia Antonella Di Grazia, presidente della neonata A.S.M. Onlus, l’Associazione Siciliana Miastenia che è stata presentata giovedì durante l’incontro intitolato “Una malattia rara, ma non troppo”, ospitato nell’auditorium “Ambrosio Mazzeo” dell’ospedale Vittorio Emanuele di Catania.

La miastenia è una patologia neuromuscolare immunodegenerativa. I sintomi sono molteplici e si manifestano in modo diverso in ciascun paziente, a seconda dei muscoli coinvolti. Possono includere l’abbassamento delle palpebre, il vederci doppio, dovuto alla debolezza dei muscoli che controllano i movimenti oculari, l’instabilità nella posizione eretta, la debolezza negli arti e nel collo, il cambiamento dell’espressione facciale e la difficoltà nella deglutizione, nel respirare e nel parlare, dovuta alla debolezza dei muscoli faringei. Quando si manifesta una crisi miastenica si può arrivare alla paralisi generalizzata, che può includere anche i muscoli respiratori, e rendere necessaria la ventilazione assistita per mantenere in vita il paziente.

A Catania ci sono 5-6 casi nuovi ogni anno e in Italia i casi riconosciuti sono 15 mila. Altrettanti sono quelli non ancora conclamati, secondo il professor Vincenzo Borzì, direttore della Prima Divisione di Medicina del Vittorio Emanuele, che patrocina l’associazione insieme all’Ordine dei dottori commercialisti e esperti contabili di Catania. «La miastenia – spiega Borzì – è una malattia subdola e difficile da diagnosticare. Se pensiamo che il primo caso è stato individuato nel 1672, possiamo ben affermare che pochi passi sono stati fatti da allora».

Proprio per invertire questa tendenza è stata costituita l’A.S.M.. L’associazione nasce infatti per tutelare i diritti dei miastemici, dare supporto nell’assistenza dei malati e dei loro familiari e promuovere la ricerca, oltre che per sensibilizzare l’opinione pubblica e diffondere la conoscenza della patologia tra i medici.

La salute del miastenico dipende infatti dall’intervento di più specialisti: il medico di base, il neurologo, il chirurgo toracico, l’anestesista, il team di riabilitazione  e il transfusionista. «L’approccio deve essere pragmatico e multidisciplinare», afferma Antonella Di Grazia. Il presidente dell’associazione è affetta dalla forma più rara della malattia, quella sieronegativa. Racconta la sua storia con fermezza e anche con l’ironia tipica delle persone battagliere.  «Noi miastenici non siamo più quelli di prima – dice. Si perdono tante cose con la malattia: l’autonomia, qualche amico, che forse era falso, qualche amore, che forse era immaginario. Ho abbandonato la progettualità e sposato quel senso di precarietà che è tipico della nostra patologia. Ma ho trovato la parte più intima di me stessa, l’equilibrio, il faro che è diventato il simbolo dell’associazione».

Nella cura della miastenia saltano i confini tradizionali tra medico e paziente: «Il rapporto diventa affettivo e di aiuto reciproco», spiega la Di Grazia che, malata da sette anni, è rimasta senza diagnosi e senza cura fino a quando, quattro anni fa, ha concluso il suo lungo viaggio della speranza nel reparto del professor Borzì, che per lei è diventato una casa.

Oltre al calvario della diagnosi, l’aspetto più negativo della malattia è l’incomprensione della gente. «Non abbiamo la giusta considerazione, spesso veniamo presi per simulatori e depressi», dice Maurizio Ceraulo, vicepresidente dell’A.S.M., miastenico da dieci anni. E continua: «Capita di non riuscire a ridere dopo che un amico racconta una barzelletta e sentirsela ripetere più volte».

La miastenia per lui si vince solo conoscendola, accettandola e assecondandola: «Bisogna considerarla come una compagna che ci accompagnerà per tutta la vita e che reclama di essere interpellata ogni qual volta ci indirizziamo verso scelte importanti, proprio come si fa con un’amante capricciosa».

Agata Pasqualino

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