Quando classico non significa vecchio

Primo concerto della nuova stagione dell’Associazione musicale etnea, la trentaquattresima dalla sua fondazione nel 1973. Protagonisti i giovani della Camerata Strumentale città di Prato, orchestra fondata dieci anni fa da Riccardo Muti formata da ragazzi al di sotto dei 30 anni provenienti da tutta Italia e diretta dal maestro Alessandro Pinzauti. Loro ospite è Boris Davidovič Belkin, violinista russo che ha collaborato tra gli altri con Bernstein, Mehta, Maazel e lo stesso Muti.

La scenografia è quella affascinante della chiesa di San Francesco all’Immacolata. Una struttura barocca nel cuore di Catania, all’inizio di quella via Crociferi che tutto il mondo ci invidia, nella quale gli spettatori guardano un po’ incuriositi ora la pala d’altare, ora una delle Candelore, mentre l’odore d’incenso sembra mescolarsi alle note.
Il concerto prende il via con l’ouverture dell’opera lirica Medea di Luigi Cherubini. La storia è tratta dall’immortale tragedia classica di Euripide; la più celebre interprete dell’opera del compositore toscano fu Maria Callas, che ne interpretò anche la versione cinematografica di Pier Paolo Pasolini.
Le prime note si diffondono tra le navate, avvolgendo completamente il folto pubblico assiepato sulle panche e lasciandolo quasi inerme davanti alla passione tradotta sullo spartito che fa da apripista all’entrée dei personaggi.

È con il secondo momento della serata che fa il suo ingresso Boris Belkin; il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 56 n. 3 di Čajkovskij è uno dei preferiti dal musicista russo e l’interpretazione che ne dà lo prova senza alcun dubbio.
I tre movimenti si alternano lasciando letteralmente senza fiato la platea. Le note si susseguono maestose ed esplosive, con un finale coinvolgente. Per tutta la durata della performance, il violinista e il maestro si sorridono, complici assieme all’orchestra di un’emozione da regalare, di una musica plasmata dalle loro sapienti dita. Chi ascolta, regala loro un lunghissimo applauso entusiasta che fatica a spegnersi all’interno della chiesa.

La chiusura è affidata a Felix Mendelssohn Bartholdy e alla sua Sinfonia in la minore op. 56 n. 3 detta la Scozzese. Questa è forse una delle più famose scritte dal compositore romantico nella sua breve vita e i quattro movimenti sono ben interpretati dalla giovane orchestra, premiata dal consenso di chi ha ricevuto in dono una serata ben riuscita.

Buon inizio quindi per l’Ame, il cui prossimo concerto (Echi di femminilità in autori della prima metà del Novecento) si terrà sabato 15 novembre.

Carmen Valisano

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