One Day Long. Una giornata con l’uomo che parla alle pietre

“Il paesaggio è pieno di destino. Non esiste di per sé, è fatto dagli esseri umani e li fa’”.
Le opere di Richard Long (Bristol, 1945) mi fanno pensare a queste parole di William Trevor.
Long, che ha fatto del camminare un’arte, arriva in un posto e lo sente, pare ascoltarlo, come gli sciamani, con un orecchio alla terra e uno al vento, poi lascia il suo segno, il segno dell’uomo, prima figlio e poi padre di angoli di mondo.

A Gibellina ha sentito le mille storie di libeccio che soffiano sulla Valle del Belìce, in un colloquio solitario con le pietre, ha scelto una per una le rocce bianche di Custonaci, che servivano al suo disegno, e ha iscritto una croce dentro a un cerchio: una Rosa dei venti, l’asse della terra che punta il nord e l’asse del cielo, rivolta a giorni nuovi, verso il sorgere del sole.
Tra campi di grano e pianure di vigneti la sua opera è in buona compagnia, solo per ricordarne alcune altre di estese dimensioni, c’è la Stella di Pietro Consagra, c’è la Montagna di sale di Mimmo Paladino, c’è il Cretto di Alberto Burri. Oggi Riso, Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia, decide di installare nei pressi del Baglio Di Stefano anche l’opera di Long, continuando l’incredibile storia che ha accompagnato Gibellina dalla sua rinascita, dopo il terremoto del 1968 che l’aveva totalmente distrutta, nella sua lenta ricostruzione nel nome dell’arte.

Gibellina è un libro aperto di arte contemporanea, si viene a studiarlo, come ha fatto Long, senza lo sforzo di girare pagina e con lo stupore immenso di leggerlo camminandoci dentro. Perciò l’auspicio è che l’opera lì ci resti, che Riso non la porti nello spazio costretto di un museo, come sembra voler fare, ma la lasci a segnare i venti del luogo che l’ha ispirata.
Lo studio del territorio, dei materiali, dei significati non è mai casuale ma, nonostante il pubblico selezionato dell’inaugurazione, qualcuno si stupisce nel vedere l’opera finita: solo, un cerchio di pietre. Un cerchio di pietre? l’arte contemporanea ha così poco a che fare col senso più vero dell’arte?
Ma il senso più vero dell’arte, dalla preistoria a oggi, forse nessuno lo sa e il fitto mistero Long deve averlo visto cominciare a casa sua, in Inghilterra, dove c’è il più famoso cerchio di pietre della storia, il cromlech di Stonehenge, che risale al Duemila avanti Cristo. Le forme estremamente geometriche, la ricerca di simmetria a scapito di qualunque intento di rappresentazione naturalistica, le ombre che si stagliano sul terreno per poi scomparire, la terra creatrice e creata, il preludio dell’arte come rito magico e iniziatico.
Il senso più vero dell’arte nessuno, forse, l’ha mai saputo veramente ma, questi cerchi della vita, dalla preistoria a oggi, un indizio magico sembrano darcelo.
Prima di andare via, Long lascia una dedica sul libro delle firme della Fondazione Orestiadi. Non scrive, disegna: molto primitivamente, lo stampino della sua mano. Un artista, meno famoso di lui, aveva fatto lo stesso dentro a una grotta! Arte contemporanea di trentamila anni fa.

Foto: courtesy fondazione orestiadi

Mercedes Auteri

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