Protesta rifiuti, i lavoratori e le bottiglie di benzina «Ci vogliono togliere il diritto a comprare il pane»

Annarita Floresta è la bandiera della protesta di via Maserati, di fronte all’ingresso di uno degli autoparchi del Comune di Catania. Non si muove senza una bottiglia di plastica riempita di benzina, se la tiene vicina anche mentre fuma. «Anna, la sigaretta tienila lontana», le dicono. Lei non risponde. È una delle 105 persone inserite nel bacino prefettizio, in attesa da anni di essere stabilizzata nel servizio di nettezza urbana. «Sono una ex Multiservizi – racconta – Il bacino prefettizio è nato con me e altri 37 colleghi, era il 2005». Sono passati 13 anni e il suo ultimo contratto a termine è scaduto il 22 febbraio, per la raccolta dei rifiuti con il consorzio Seneco. Lo stesso che ieri ha convocato, per firmare un nuovo contratto a tempo determinato, 21 lavoratori provenienti da quella lista – i più anziani d’età – nonostante il sindaco Enzo Bianco avesse annunciato un impegno per farli assumere tutti e 105, nessuno escluso. «Certo che c’è bisogno di loro – dice uno dei coordinatori di Seneco, fuori dall’autoparco di contrada Agnelli – Quelli a tempo indeterminato devono fare spesso i doppi turni, sennò non ci bastano». I lavoratori dell’appalto della raccolta dei rifiuti sono, a regime, 650. Ma secondo quanto riferito da alcuni di loro, e dai sindacalisti presenti sul posto, al numero complessivo ne mancherebbero proprio una ventina. Quota molto vicina a quella per cui ieri sono scattate le nuove telefonate.

«Prendono questi qui e poi non ne prendono più», temono tutti. E, comunque, l’ennesima rotazione non va bene più a nessuno. «Io non me ne vado di qui finché non ho in mano un contratto vero – dice Annarita – Sto chiedendo l’America? Ditemi voi se a 45 anni, dopo anni e anni di promesse, volere un contratto vero è l’America». «Io di anni ne ho 57, chi me lo doveva dire che stavo a quest’età a sbarrare i cancelli per 700, 800 euro a mese», interviene un suo collega. E un terzo attacca: «Un contratto ce lo devono dare. Siamo contribuenti, rinnovano l’appalto coi soldi nostri, ma per noi i soldi non ci sono mai. Per le vacanze in Spagna, per le case in affitto, i soldi ci sono sempre». Il riferimento, chiaro, è all’inchiesta Garbage affair e alle accuse nei confronti dell’ex responsabile comunale della Nettezza urbana Orazio Fazio e dell’ex ragioniere generale Massimo Rosso. «Che cosa abbiamo noi in meno degli altri netturbini? – domanda Annarita – Facciamo lo stesso lavoro, lo facciamo allo stesso livello, c’è bisogno di noi perché manca il personale. Però loro lavorano tutto l’anno, tutti i giorni. Noi ci dobbiamo accontentare di un mese sì, tre no, uno sì, tre no. E poi ci riempiono di promesse, e noi li ascoltiamo perché sono anni che ci speriamo. Ma ora basta, ora faccio un guaio».

Lei minaccia di darsi fuoco, di uccidersi di fronte ai cancelli del consorzio Seneco se non arriveranno risposte. Il Comune di Catania – che delle 21 assunzioni ha dichiarato di non essere a conoscenza – starebbe tentando di intercedere con i commissari prefettizi di Seneco per ottenere l’annullamento delle chiamate di ieri e l’inserimento lavorativo del gruppo integrale. Neanche la Cgil, però, sembra credere che una soluzione possa arrivare in tempi brevi. A darsi il cambio al blocco Palma 1 della zona industriale etnea sono il segretario provinciale del settore Igiene pubblica Alfio Leonardi, e quello generale Giacomo Rota. Anche loro aspettano notizie, ma è difficile che arrivino in serata. La città, intanto, è già in ginocchio: i lavoratori parlano di qualche tonnellata di rifiuti rimasti per le strade, e domani il peso raddoppierà. Con Pasqua alle porte è anche peggio. «I nostri colleghi dovranno lavorare 40 ore di seguito per toglierli tutti e ci dispiace – continua Annarita Floresta – Ma non è colpa nostra. Subiamo umiliazioni su umiliazioni». «Io quando ho detto che volevo lavorare sapete che mi hanno risposto? “Vuoi i diritti?” “‘otinni ‘a Svizzera”. Vai in Svizzera – interviene un altro ancora – È una cosa rispettosa da dire a un padre di famiglia?».

«Pure io sono madre. Io sono la capofamiglia a casa mia. Ho figli, ho nipoti. E non è per questo che ho diritto a lavorare – conclude la donna – Avevo lo stesso diritto anche se ero da sola, perché è il diritto al pane, il diritto a non essere più imbrogliata, il diritto a non sentirmi trattare come una che non capisce niente. Il mio diritto è di avere una vita dignitosa». Vuole incontrare tutti, lei. «Il sindaco, la prefetta, il commissario straordinario. Fatemici parlare, me lo devono dire in faccia che non mi assumono neanche questa volta, dopo 13 anni. E io glielo devo dire: prendeteci a tutti, quattro ore al giorno all’inizio, ma prendeteci a tempo indeterminato. Dateci la sicurezza di non rimanere senza niente. Io da qua non me ne vado, l’ho detto. Piuttosto mi ammazzo». E figli e nipoti, senza chi porta lo stipendio, come fanno? «Io tanto lo stipendio adesso non lo prendo. Sono solo un’altra pancia da riempire».


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