Pfm e De André, il canto dell’assenza

Vogliamo riproporre a distanza di trent’anni lo stesso concerto che cambiò la nostra carriera e quella di Fabrizio De Andrè”. Giovedì scorso Franz di Cioccio, leader della PFM, ha voluto aprire così la serata al Metropolitan di Catania. Giurando fedeltà a quel tour che nel 1979 vide insieme la Premiata Forneria Marconi e Faber.

Detto fatto. Sono gli arpeggi incalzanti di Bocca di Rosa e, a seguire, La Guerra di Piero a scaldare subito un pubblico variegato: facce di bimbi, di genitori, di anziani e di ventenni, modi diversi di vivere la musica ed i concerti, per una sera insieme per ascoltare il connubio senza tempo tra i suoni rock della band e le storie, le parole, le immagini dipinte da De Andrè. Esattamente come nella storia di Bocca di rosa, le cui immagini vengono sostenute da palpitanti assoli di batteria, strumento a cui si sono alternati Pietro Monterisi e lo stesso Di Cioccio.

È poi la volta di Un Giudice. “A chi veniva ingiustamente sbeffeggiato e insultato, Fabrizio consigliava di esser ancora più carogna” ricorda Di Cioccio raccontando l’origine della storia del nano diventato “vostro onore, arbitro in terra del bene e del male”.

La collaborazione tra la Pfm e Fabrizio De Andrè risale all’album La Buona Novella del 1970, quando ancora la band si chiamava ‘I Quelli’. “La prima volta che incontrammo Fabrizio, lui bofonchiò a stento un saluto. Era una specie di orso”. È il preludio a Maria nella bottega del falegname e a Il testamento di Tito. Un poeta-orso che in realtà, come lui stesso in seguito confermò, aveva una gran paura di cantare insieme alla Pfm che in quegli anni si apriva al rock progressivo, lasciandosi contaminare da diversi generi musicali. E pensare al De Andrè solitamente voce e chitarra in mezzo all’assolo di basso, batteria e chitarra elettrica nella versione Pfm di Amico Fragile richiede sicuramente uno sforzo notevole.

Invece quel tour di trent’anni fa segnò una svolta anche per Fabrizio che riuscì ad andare oltre alla dimensione di cantastorie e paroliere.

Molte sono infatti le sue canzoni che i più giovani conoscono soprattutto nella versione di quel tour e che giovedì la Pfm ha riproposto: Giugno 1973, Amico Fragile, Andrea, l’unica, quest’ultima, dedicata alla Genova borghese, ad essere stata voluta fortemente da De Andrè stesso andando contro le perplessità di De Cioccio e compagni.

Ma sono soprattutto Volta la carta e Il pescatore a trascinare il pubblico, impreziosite dalle melodie di Lucio ‘Violino’ Fabbri.

Dopo un’ora e mezza termina la prima parte del concerto, quella dedicata al cantautore genovese scomparso dieci anni fa. Ma non cala nessun sipario. Sono le parole di Franz Di Cioccio e di Franco Mussida, l’altra voce storica del gruppo e chitarrista, ad accompagnare il pubblico dalle storie di Faber alle vibrazioni del rock progressivo degli anni settanta. “Siamo sudati e ci piace esserlo” dice il leader della band mentre dietro di lui si preparano gli strumenti per la seconda parte della serata in cui le parole cedono spazio alla sola musica di alcuni vecchi successi: La luna nuova (1974), Il banchetto (‘76), Maestro della Voce (’80), La Carrozza di Hans (’76).

Poi si spengono le luci e la band esce. Tutto troppo veloce. La Pfm non può non concedere un bis con Impressioni di settembre e Celebration, cantata con cori da stadio insieme al pubblico, invitato da Di Cioccio a lasciarsi andare ad “un gesto creativo e di libertà”, cioè un unico grande grido liberatorio.

Un grido che però non riesce a sovrastare l’assenza più grande. La voce di Fabrizio De Andrè.

Benedetta Motta

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