Omicidio Fragalà, tocca all’ex boss Ciro Vara «Uomini di Cosa nostra ce l’avevano con lui»

«Quando è successo l’omicidio ero già collaboratore di giustizia, ho capito che si brancolava nel buio e siccome io mi ricordavo alcuni particolari ho chiesto di essere sentito, perché potevo essere d’aiuto per fare luce». Questi particolari, che l’ex boss di Vallelunga Pratameno Ciro Vara ha raccontato oggi al processo per l’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà, li ascolta durante l’ora d’aria nel carcere in cui è rinchiuso a Trapani. Li apprende sentendo parlare fra di loro altri due uomini d’onore di Castellammare del Golfo: sono Antonino Valenti e Nino Boscolo. Il primo racconta che «l’avvocato Fragalà andava in carcere a parlare di revisione di processi e altro per sistemare la posizione degli uomini d’onore, ma lui dopo le elezioni non si era più fatto vedere. Loro erano indispettiti da questo comportamento».

Mancate promesse. Questo il torto del penalista, a sentire il racconto di Vara. «Lui andava in carcere a dare speranza ai detenuti, parlava di fare alcune leggi anche in favore di chi, dopo Cosa nostra, collaborava», continua il pentito, ascoltato come teste assistito. A quelle passeggiate durante l’ora d’aria ci sono altri nomi che contano, però. Come quello di Giovanni Napoli, per Vara il reggente della famiglia di Mezzojuso nonché boss che ha curato la latitanza di Bernardo Provenzano dal ’94 al ’98, e Vito Panicola, consuocero del super latitante Matteo Messina Denaro. «Non so chi e quanti erano i mafiosi detenuti nel carcere di Trapani assistiti dall’avvocato, ricordo solo i discorsi che facevano, ma non so nemmeno se Valenti e Boscolo erano suoi clienti – dice -. Erano arrabbiati però, mettevano in risalto questa situazione dicendo che dopo le elezioni non si era fatto più vedere, ma nessuno ha mai detto che andava ucciso».

Malgrado non emerga alcun intento punitivo nei confronti del penalista, però, Vara, a omicidio avvenuto, sente di dover raccontare quello che aveva sentito durante le famose ore d’aria a Trapani. «L’ho pensato perché c’erano uomini di Cosa nostra che ce l’avevano con lui e pensavo potesse essere significativo il mio contributo», dice ancora in video collegamento con la prima corte d’assise di Palermo. Vara, affiliato alla famiglia mafiosa di Vallelunga Pratameno la sera di Pasqua del 1980 e pentito dal 2002, non ha mai avuto Enzo Fragalà come suo legale. Tuttavia, durante le sue vicende giudiziarie lo ha incontrato. «Era il 2005 o il 2006, non sono sicuro. Sono stato interrogato da lui nel procedimento sull’omicidio del piccolo Di Matteo, processo in cui lui assisteva uno degli altri imputati, Salvatore Longo, uomo d’onore di Cammarata».

«Ho avuto questa iniziativa perché ho pensato che la pista poteva essere Cosa nostra – ribadisce ancora -, ho pensato che visto quello che avevo sentito dire sull’avvocato poteva esserci stata una reazione nei suoi confronti». A dargli il cambio avrebbe dovuto essere un altro ex boss, Onofrio Prestigiacomo, arrestato nel 2008 con l’operazione Perseo, che però oggi non è stato ascoltato per ragioni legate alla sua salute. Segue a ruota, quindi, il professore Giuseppe Mastronardi, consulente nominato dalle pm Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli, che ha comparato i filmati della sera dell’omicidio ripresi dalle telecamere di videosorveglianza del negozio Mail Boxes con altre immagini di appostamenti, riprese e foto segnaletiche di due degli imputati a processo, Antonino Siragusa e Salvatore Ingrassia: «Le immagini sono abbastanza nitide ma notturne, era necessario aumentare la luminosità. Il metodo usato – precisa più volte il teste – è assolutamente oggettivo. Ciò che feci all’epoca fu procedere con una sovrapposizione, c’erano perfette compatibilità in entrambi i casi».

Il professore Mastronardi in particolare parla di «compatibilità della postura addominale», di «una discreta analogia anche dal punto di vista fisiognomico», di «un analogo profilo dell’attaccatura dei capelli e di perfetta coincidenza nelle altezze». Compatibilità, però, non significa identificazione. E il perito spiega subito perché: «L’individuazione si ha solo in caso di compatibilità certa». Le immagini da cui parte il confronto del professore sono «parecchio distanti, non consentono di definire quei particolari che sarebbero stati utili proprio per un’identificazione. Non si distingue il taglio degli occhi, per esempio, o quello delle sopracciglia». Riconosce, però, in uno dei due soggetti immortalati la sera del 23 febbraio 2010, un’andatura claudicante. «Seppi dal capitano Ferrara che Siragusa era pure claudicante. Ma attenzione – conclude il professore – nella mia relazione io parlo di stesso atteggiamento claudicante, non ho detto stessa claudicanza. È un’ipotesi. In ogni caso, posture, capo, modo di atteggiarsi sono tutti elementi che si desumono dalla sequenza delle immagini, non dal singolo fotogramma».

Silvia Buffa

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