Museo egizio a Catania, ora servono 235mila euro Tema Mediterraneo e reperti dal Castello Ursino

Il Mediterraneo come trait d’union tra i reperti del Museo egizio di Torino e quello che dovrà nascere a Catania. Una delle poche certezze sulla nuova destinazione che avrà l’ex Convento dei Padri Crociferi dell’omonima via è questa. Poi c’è, appunto, il luogo che è stato scelto. E il fatto che non aprirà a breve, perché ancora non si sa cosa metterci dentro. Ieri, infatti, il Comune di Catania ha emesso un provvedimento per integrare le cifre necessarie: servono 235mila euro affinché l’ex Ibam Cnr (adesso Istituto di scienze del patrimonio culturale) e l’università di Catania redigano un progetto scientifico e capiscano, di preciso, cosa deve essere fatto. 

Così come erano fondi europei quelli usati per la riqualificazione del convento, così saranno comunitari i soldi necessari a pagare il lavoro dei ricercatori che, nei prossimi mesi, dovrebbero valutare assieme al Museo egizio di Torino quanti e quali reperti portare dal capoluogo piemontese a quello catanese. E, soprattutto, perché. «Non si può pensare a una deportazione», dichiara il responsabile della sede catanese dell’Istituto Daniele Malfitana, presidente dell’Ibam Cnr per due mandati consecutivi. Spetterà a lui guidare il pool di archeologi ed esperti chiamati a immergersi nei depositi non solo torinesi, ma anche etnei.

«Circa cinque, sei mesi fa siamo stati contattati dall’amministrazione comunale – spiega Malfitana – e abbiamo cominciato a mettere le nostre competenze al servizio di questo progetto». Che pure è di vecchia data. Era stato l’ex sindaco di Catania Enzo Bianco ad annunciare a grande voce, affiancato dall’allora assessore alla Cultura Orazio Licandro, di avere stretto un accordo con la fondazione di Torino e di avere avviato l’iter per la realizzazione del museo. Che avrebbe dovuto essere aperto, secondo gli annunci, ormai anni fa. Era febbraio 2016 la prima volta che se n’è parlato e l’inaugurazione, promessa alla presenza dell’allora (e di nuovo) ministro per i Beni e le attività culturali Dario Franceschini, era fissata per il 2017.

Di rinvio in rinvio, tra un difetto di comunicazioneuna protesta, alla fine del 2019 si scopre che quello che manca per fare un museo è la base: un’idea complessiva. «Pensare di potere deportare delle opere è ingenuo – prosegue Malfitana – Il proposito passato mi sembrava un po’ campato in aria, adesso stiamo lavorando per renderlo concreto». Anche l’assessora alla Cultura Barbara Mirabella non aveva esitato a definire l’accordo di Torino «lacunoso». Il Mediterraneo, scelto come filo rosso da seguire per collegare Catania e l’Egitto, sarà declinato su più temi: la cultura, la religione, l’iconografia, per citarne alcuni.

«Se io metto in fila una serie di vasi, anche di valore, non ho fatto un museo. Certo, l’ho riempito, ma non ho fatto un buon servizio». Per questo, per rendere evidente il legame, saranno aperti anche i depositi del Castello Ursino. Da lì saranno scelti i reperti più rappresentativi di una connessione che, oltre che geografica, è stata di flussi umani e di comunicazione. «Il tema principale è quello di trovare una linea scientifica per dare una coerenza all’esposizione». Non necessariamente, poi, si tratterà di una collezione permanente. Le opere potrebbero anche variare, sulla base di un programma pluriennale ancora da definire. Come i tempi, anche quelli ancora tutti da studiare, in base alle tappe che saranno previste dal progetto.

Luisa Santangelo

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