«Mafia, massoneria e gruppi d’affari» Per Crocetta c’è un complotto contro la Sicilia

Un complotto. Il presidente Rosario Crocetta non la pronuncia mai la parola, eppure gran parte del suo discorso è riconducibile a questa chiave di lettura degli eventi che hanno sconvolto la politica siciliane negli ultimi giorni. Cosa nostra, gruppi affaristici del Nord, gruppi editoriali interessati alla costruzione dei termovalorizzatori che lui ha bloccato, massoneria deviata, diktat romani. Sembra un film, invece sono gli elementi della lunga difesa del governatore. Che, nella sua deriva, mischia fatti ad allusioni: «Per chi suona la campana? Oggi l’hanno fatta suonare per me, ma se domani il delitto sarà perfetto per qualcun altro?». E arriva a identificare la sua figura con quella dell’intera Sicilia. E, di conseguenza, i suoi nemici diventano quelli di tutto il popolo siciliano, che «dovrebbe chiedere un risarcimento miliardario per i danni causati all’immagine di questa terra da una vicenda inesistente». «La deriva populista – continua – e la rapida richiesta di andare al voto è irricevibile perché è strumentale e interessata – afferma – Non posso che respingerla per tutelare non solo me stesso ma tutti noi e voi. Nessuno può pensare di essere un uomo libero se vince questo gioco machiavellico». 

Un’ora di discorso che inizia con toni pacati ma fermi, in cui si alterna la volontà di mettere definitivamente una pietra sopra sulla vicenda dell’intercettazione pubblicata dall’Espresso e la tentazione, a cui non resiste nonostante le premesse, di elencare i risultati politici di due anni e mezzo di governo. «Quell’intercettazione non esiste – attacca – In questo Paese si vede decidere se la verità è rappresentata da una bufala di un giornale o dall’attenta valutazione della magistratura». 

Ma presto il ragionamento lascia il posto alla teoria del complotto, che occupa tutta l’ultima parte della sua difesa. «Sono figlio di un operaio e di una sarta, non di potenti famiglie e questo mi rende ostile al solo vero cerchio magico che continua a esistere in Sicilia». Fatto da «affaristi, massoneria deviata e una Cosa nostra che non fa più stragi ma sapientemente orchestra utilizzando spesso strumenti senza che gli utilizzati ne siano consapevoli». Non fa nomi Crocetta ma lascia ben intendere il disegno di cui in questi giorni si è fatto sempre più convinto: che i giornalisti dell’Espresso siano stati usati da altre menti. E collega quanto sta succedendo nelle ultime settimane alla presunta testimonianza di un collaboratore di giustizia che nell’aula di un Tribunale di Firenze, nell’aprile del 2014, avrebbe descritto i piani di morte di Cosa Nostra gelese nei confronti del presidente. Un progetto che sarebbe dovuto passare prima da «una campagna denigratoria», poi, nel momento in cui Crocetta sarebbe rimasto senza incarichi istituzionali e senza scorta, da un falso incidente in cui farlo morire senza farlo passare per eroe dell’antimafia. Lo scenario dipinto da Crocetta ha spinto il deputato di Ncd Francesco Casciochiedere allo stesso presidente se fosse «disconnesso dalla realtà», ma ha convinto i principali alleati del Pd. Anche il capogruppo democratico Antonello Cracolici ha sollevato dubbi su quali possano essere i soggetti che si muovono dietro «la patacca» dell’intercettazione. 

E proprio all’aula Crocetta ha affidato il suo ultimo messaggio: «Voi e solo voi, senza diktat romani o di altri poteri, potete decidere la fine della legislatura, spetta al parlamento sovrano questa decisione che non può essere presa di fronte a un castello di menzogne ma su valutazione politica. Non ho niente da perdere, non ho aziende, interessi, proprietà, non ho niente da difendere. Ma non ci sto a questo gioco infame. Se il parlamento stacca la spina si rende complice di azione eversiva di sciacallaggio che non la storia ma la realtà ha già smentito». Se il Pd siciliano, nonostante le diverse prese di posizione dei giorni scorsi, sembra quasi essersi convinto, resta da vedere quali indirizzi verranno dall’incontro di oggi pomeriggio tra il segretario regionale Fausto Raciti e il premier Matteo Renzi. 

Salvo Catalano

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