L’uomo, la bestia e la virtù in fondo si assomigliano

Titolo: L’uomo, la bestia e la virtù.
Autore: Luigi Pirandello.
Regia: Fabio Grossi.
Scene e Costumi: Luigi Perego.
Musiche: Germano Mazzocchetti.
Luci: Gigi Saccomandi.
Interpreti: Leo Gullotta, Carlo Valli, Antonella Attili.
Produzione: Nuova Teatro Eliseo.

 

Pirandello, ideatore e creatore di un teatro psicologico ed introspettivo, conosceva molto bene le capacità dell’uomo, perché attento osservatore della sua realtà e del mondo in cui egli viveva. La sua maestria creatrice lo portò a dar vita a drammi e commedie in cui spesso i protagonisti incarnavano l’ipocrisia, un limite che lui stesso riconobbe all’interno della sua Sicilia e una condizione dettata da una serie di false convenzioni che si opponevano ad una dura e differente società. Spesso nel teatro pirandelliano tali personaggi sono antitetici ad altri che invece tentano in tutti i modi di rappresentare un universo di rapporti e valori autentici. Tuttavia, in molti casi, questa potenzialità verrà loro negata, rimanendo come una speranza la cui piccola fiammella verrà spenta quasi immediatamente, poiché questi uomini fanno già parte di un’umanità ipocrita, che non ha trovato ancora il modo di cambiare la propria condizione.

Tutte le false convenzioni di una società che già da sola potrebbe rappresentare una commedia si possono riscontrare nell’opera che il drammaturgo siciliano scrisse nell’immediato dopoguerra, “L’uomo, la bestia e la virtù”, un capolavoro, non solo una commedia, ma allo stesso tempo una “tragedia annegata in una farsa”. Scritta nel lontano 1919 ma tuttora molto attuale, data la presenza al suo interno di valori che emergono in superficie con forza.

Come rivela lo stesso titolo, i protagonisti sono tre ed ognuno di loro incarna le qualità/difetti dei sostantivi. Cominciamo dall’Uomo. Si tratta dell’onesto e morale professor Paolino, una persona che soffre dell’ipocrisia della sua civiltà. Il suo personaggio è interpretato da un eccellente Leo Gullotta, noto attore siciliano teatralmente cresciuto sotto le “ali protettrici “del grande Turi Ferro e dell’indimenticato Mario Giusti. Il professore è nell’animo un fervente sostenitore dell’autenticità dei rapporti in opposizione ad ogni falsa convenzione perché come lui stesso ricorda ai suoi alunni essere ben educati è sinonimo di “commediante” (dal greco ipocrita), ovvero la falsità cammina di pari passo con la civilizzazione. Nonostante le sue radicate convinzioni egli stesso si troverà costretto ad adeguarsi a tale falsità, che prorompente lo sommergerà. Si comporterà così per salvare l’unico rapporto che crede sincero e di grande valore: l’affetto che prova per la signora Perella (Antonella Attili), l’unica donna che ritiene meritevole di essere amata, pura e virtuosa come nessun’altra, anche se… l’apparenza inganna! Proseguiamo con la Bestia. Impersonata dal capitano Perella, (Carlo Valli) marito infedele della sua amata-amante, uomo non molto civile e per nulla presente in famiglia, ad eccezione di un giorno al mese in cui ritorna a casa. Egli si è costruito addirittura un altro “nido” a Napoli, ma continua a far sentire il peso della sua autorità alla povera moglie e al figlioletto Nonò (Luca Buccarello) che ormai lo considerano soltanto un bruto, una persona poco adatta a fare da marito e da padre. Concludiamo con la Virtù. La signora Perella, modello di castità ed esempio di semplicità agli occhi di Paolino che penserà di aver trovato finalmente la donna della sua vita. Tuttavia, un avvenimento imprevisto comprometterà la “purezza” del loro legame, nonostante le brillanti idee di un amico medico, il dottor Nino Pulejo (Gianni Giuliano) e gli artifici del farmacista di fiducia, il signor Totò (Bruno Conti), il quale con un micidiale intruglio riuscirà a risvegliare la passione del capitano Perella, nei confronti di chissà chi, la moglie o la cameriera? Unica soluzione possibile sarà adeguarsi alle convenzioni ipocrite del mondo in cui da sempre essi hanno vissuto eppur rifuggendovi.

Alla fine dei conti, il rapporto è salvo. L’Uomo è riuscito a salvaguardare la sua integrità morale e la Virtù potrà sentirsi di nuovo in pace con se stessa, onesta e pura. La Bestia resta sempre una bestia ed a questo purtroppo non c’è alcun rimedio. L’importante però è che tutto sia tornato alla normalità, anche se in un mondo di commedianti, più ipocrita che mai.

Il regista Fabio Grossi si è fortemente appassionato a questo tema ideato dal nostro egregio conterraneo a inizi del XX secolo eppure sempre universale e attuale. “Mi preme sottolineare la perfetta modernità del soggetto trattato, in periodi come questi in cui viviamo, dove l’opportunismo di inizio millennio, il cinismo da villaggio globale, l’ipocrisia da seconda o terza cosa pubblica, tanto bene vedono aderire le ipotesi divenute teoremi: lasciando sempre in zona d’ombra le tanto sofferte città del sole, vittime di perenni eclissi oligocratiche.”

L’allegoria è resa anche scenicamente da un’enorme giara rappresentante una testa umana, al cui interno ci sono ora i libri che rispecchiano la cultura intellettuale del professore, ora la sala da pranzo, luogo di convivio e umorismo. Sulla stessa linea anche le musiche particolari, graffianti, ironiche. Una squadra da undici componenti, il cui capitano è sicuramente un veritiero Leo Gullotta, che riesce brillantemente a personificare uno divorato da rabbia e disperazione, perché è un uomo onesto che si ritrova sempre a trattare con degli “animali”. Applaudito e osannato da un pubblico di parte. Gullotta è nato a Catania, si sa, ma per quei pochi che non ne fossero a conoscenza è bastato il suo forte accento siculo, che si distingueva notevolmente dalla dizione atona del resto degli interpreti, per capirlo!

Testo sagace, tragicommedia per affrontare l’ironia e l’assurdità di una situazione assolutamente reale, possibile, che alla fine si fa sorriso amaro e graffio sanguinante nella pelle.

Benedetta Motta

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