Quella volta che il palco tremò

10 anni. Tanto è passato dalla demo che nel ’97 li presentò agli addetti ai lavori. Attraverso un cammino coerente ed in costante evoluzione – dall’omonimo esordio del ’99 all’ultimo “Requiem”, 4° album fresco d’uscita – i Verdena si sono costruiti una reputazione degna della ribalta internazionale. Il trio bergamasco è appena arrivato a Palermo per le due date siciliane a “Requiem”.

 

Quali sono i  ricordi più vividi che hai, dopo questa prima decade di attività?

Abbiamo ricordi personali molto importanti. Sicuramente gli ultimi concerti qui in Sicilia sono entrati nella memoria storica dei Verdena. Penso alle date di Catania (Zo, 16/04/2004, tour de “Il suicidio dei samurai”, ndr) e di Palermo, dove la folla in attesa stava buttando giù dal palco l’impianto – temevamo ci finisse addosso, nei camerini! – ed è dovuto intervenire Luca (Ferrari, il batterista, ndr) dicendo alla gente di stare tranquilla, altrimenti non avremmo potuto suonare. Delirante, ma indimenticabile! Il giorno dopo, lì a Catania, è stato bellissimo perché sulla prima canzone il pubblico ha iniziato a pogare ed il palco a tremare! C’erano dieci persone dietro che lo tenevano, cercando di raddrizzarlo: c’era il rischio di cascare giù con tutti gli strumenti! Bello, bello… –ride. E’ sempre molto viscerale suonare qui da voi. Invece non ho un buon ricordo – anzi, è stato abbastanza terribile! – delle nostre prime apparizioni in tv.

 

Non vi scoccia, dopo tutto questo tempo, di venire ancora presi “sottogamba” da certa stampa che ignora il percorso dei Verdena e se ne esce sempre con i soliti riferimenti triti e ritriti (i Nirvana italiani, i Motorpsycho italiani ed altre amenità varie…)?

Sì, è inevitabile. Può scocciare, da un lato, dall’altro siamo consapevoli che, nel mondo della comunicazione, certi giornalisti hanno bisogno di riferimenti per incasellare tutto, insomma. Fondamentalmente non è un problema nostro se alcuni non riescono a cogliere l’ironia durante le interviste. Non leggiamo tutto quello che scrivono su di noi, è meglio! – ride.

 

In cosa “Requiem” è diverso dagli album precedenti?

Tutti i nostri lavori hanno una storia a parte, com’è giusto che sia: fra un disco e l’altro succedono un sacco di cose, già il fatto stesso che passi del tempo… Si cambia e questo si riflette nelle composizioni. Per ora questo è l’album più libero che abbiamo inciso, realizzato senza vincoli, così come ci è venuto. L’unica regola che avevamo era non avere regole!

 

 

Quali sono le differenze fra i produttori con cui avete fin qui lavorato?

Parecchie. Sono persone molte diverse, ognuna con la sua impostazione musicale. Ai tempi dei primi due dischi, sia con Giorgio Canali (ex C.S.I. – ndr) che con Manuel Agnelli (leader degli Afterhours – ndr), avevamo le canzoni già pronte e loro non hanno fatto altro che registrarle: più che una produzione artistica, è stato un apporto tecnico. Invece con Mauro Pagani (ex P.F.M. e collaboratore di Fabrizio De Andrè, fra gli altri – ndr) è stato diverso: per Requiem avevamo tanti pezzi acustici non ancora completi e lui ci ha aiutati a finirli. E’ stato stimolante: eravamo nel suo studio (le prestigiose Officine Meccaniche a Milano, dove la band incise il suo 2° lavoro, “Solo un grande sasso”, nel 2001) a provare e riprovare, cercando nuove soluzioni, e alla fine Mauro ha co-prodotto Angie e Trovami un modo semplice per uscirne, mentre il resto della produzione artistica è nostro.

 

Come ne “Il suicidio dei samurai” e nei vostri e.p., ma stavolta Alberto ha curato anche il mastering. Tempo fa mi raccontava che, in passato, era rimasto insoddisfatto di questo lavoro, svolto a Londra da tecnici stranieri. Devo dire che “Requiem” è il vostro disco che suona meglio…

Sì, non a caso. Alberto aveva bene in mente cosa voleva ottenere e il tutto sarebbe venuto meglio se avessimo avuto più tempo, ma era la prima volta che lo facevamo da soli e, tra notti insonni e ritmi forsennati, eravamo completamente fuori di testa! – ride. Alla fine abbiamo deciso che andava bene così.

 

Nell’album precedente i testi avevano raggiunto una forma poetica fino ad allora inedita per i Verdena, che nell’ultimo cd è espressa attraverso l’uso di un italiano foneticamente vicinissimo alla lingua inglese. Sei d’accordo?

Esatto, hai capito perfettamente. Quando Alberto inizia a cantare i pezzi, crea la linea vocale in inglese, non proprio perfetto, ma quasi. Durante le prove ci si abitua a quelle sonorità e per molti testi, quest’anno, ha fatto una traslazione di suoni dall’inglese all’italiano, cercando delle parole nella nostra lingua che suonassero in quel modo e preoccupandosi anche che avessero un minimo di significato, ovviamente. Questi di Requiem sono i testi che Alberto si sente di più addosso, quelli più coerenti con se stesso, insomma. Ci ha lavorato molto, stavolta.

 

Hanno influito  anche i vostri recenti tour all’estero?

Assolutamente sì. E’ stata un’esperienza molto positiva suonare di fronte a gente che non sapeva nulla di noi. E’ come tornare indietro di 10 anni: sali sul palco con l’idea di conquistare chi hai davanti. E’ molto diverso dal suonare qui in Italia, dove comunque la gente sa cosa facciamo e c’è il problema opposto, perché il nostro pubblico ha delle aspettative e noi dobbiamo cercare di mantenerle.

 

On the road come passi il tempo?

Non ce n’è molto, sinceramente. Viaggiamo, passando la maggior parte delle ore in furgone, dove ascoltiamo musica, leggiamo, si guarda fuori dai finestrini, ci si ferma all’autogrill… – ride. Sono sempre le solite cose, alla fine: interviste, soundcheck, cena (poco)…

 

Ah! Mangi poco?

Sì, prima di suonare preferiamo non mangiare. Quando è possibile si cena dopo, altrimenti non riusciamo a digerire! – ride.

 

Caspita! Dopo anni di concerti, lo stomaco vi si contrae ancora prima di salire sul palco?

Certo, anzi! E’ sempre peggio! Più andiamo avanti, più aumenta!

 

Quali sono i pezzi che ami di più suonare dal vivo?

Dall’ultimo album Il caos strisciante e Don Calisto, anche se mi fanno un po’ male le braccia dopo averla suonata! – ride. Del materiale passato, mi piace molto suonare Luna

 

Le tastiere non ci sono più. Fidel Fogaroli, per qualche anno 4° membro aggiunto dei Verdena, ha lasciato la band. Ci sarà un sostituto?

Ci stiamo pensando, ma per il momento non abbiamo avuto neanche il tempo materiale per occuparcene. Vedremo più avanti.

 

So che ami i libri…

Già. Adesso ne sto leggendo uno abbastanza leggero, “Sto con la band” di Pamela De Barres, la groupie n°1 nei ‘60/’70. Racconta tutte le sue esperienze ed è molto divertente.

 

… E il  cinema: quali sono i registi che ti ispirano di più?

Sì, mi interessa il cinema ed anche Alberto lo segue. Personalmente David Lynch mi piace tantissimo, anche l’ultimo “Inland Empire” è davvero bello e mi ha entusiasmato. Parlando di altri, apprezzo la regia di Michael Gondry, ad esempio: la ritengo quasi geniale, mentre ultimamente ho rivisto “Fight club”, che rimane fra i miei preferiti.

 

Quando non siete “ufficialmente” in azione, Roberta cosa fa, oltre a mettere i dischi nei locali come dj?

Se stiamo a casa per più di 3 giorni, allora rimontiamo la sala prove e suoniamo sempre molto. Altrimenti passo il tempo con i miei amici, semplicemente.

 

Dopo C.S.I., Marlene Kuntz, Afterhours e Verdena, sembra che non siano seguite altre band tricolore in grado di portare avanti il rock in Italia con altrettanta personalità…

Speriamo arrivino presto! Anch’io la penso più o meno come te e mi auguro che qualcosa succeda.

 

Mentre nel panorama internazionale c’è qualcuno che ti ha colpito di recente?

Mah, sinceramente no, anzi! Devo ammettere che è tutto abbastanza triste, anche se ho apprezzato l’album solista di Thom Yorke dei Radiohead.

 

C’è un artista non-rock, invece, a cui Roberta non rinuncerebbe mai?

Impazzisco per i Chemical Brothers, li rispetto moltissimo. Sono gli unici che riescono a fare dei dischi che mi stupiscono sempre.

 

Quali band hai apprezzato di più dal vivo?

Gli Slayer! – ride. I Chemical Brothers, ovviamente, e poi anche i Tool.

 

Progetti futuri? A quando un album live o un dvd sui Verdena?

Abbiamo registrato le prime date del tour per dei programmi alla radio, ma non stiamo pensando ad un album dal vivo, per adesso. Nel frattempo mettiamo via più materiale possibile, che è comunque fondamentale per fare una cosa del genere, mentre il dvd ci sembra più un’operazione da band a fine carriera.

Giuseppe Ciotta

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