La vera storia di scarpe e cellulari In un fumetto lavoro nero e sfruttamento

«Sarebbe interessante poter leggere da qualche parte non soltanto dove la merce é prodotta ma perfino che tragitto ha fatto per giungere nelle mani dell’acquirente» dice Roberto Saviano in Gomorra; così Simone Brusca e Giacomo Pilato, rispettivamente sceneggiatore e fumettista, influenzati da questa richiesta intraprendono, attraverso un fumetto – edito dalla siracusana Verbavolant edizioni – un viaggio per il mondo in 84 tavole, in cui raccontano lo sfruttamento umano. Perché forse non tutti sanno che per produrre un cellulare dei bambini possono morire nelle miniere o che altri stanno accovacciati per ore davanti ai telai in Nepal per produrre i nostri tappeti o chini sotto carichi di carbone in Colombia, a contatto con i pesticidi nei campi di caffè in Tanzania…

Questo graphic novel, dal titolo Psicometrica – memorie da un futuro remoto, ben rappresenta quest’arte che si presta al racconto giornalistico sotto forma di reportage o di inchiesta. «Graphic novel, romanzo grafico, è il termine coniato dal noto fumettista Will Eisner per indicare un racconto a fumetti autoconclusivo e pertanto non riconducibile ad una serie periodica – ci spiega lo sceneggiatore Simone Brusca – Nella sua accezione migliore dovrebbe sviluppare forme narrative inesplorate e sue proprie, esattamente come un buon romanzo è il frutto di una ricerca linguistica e di stile intimamente legata al suo contenuto originale». E la chiave di Psicometrica è proprio questa: raccontare la vita di oggetti di uso quotidiano usando una tecnica e una sceneggiatura originali.

«Il nostro fumetto – racconta Brusca – parla di merci, come tappeti, scarpe o parquet, dietro alle quali si cela lo sfruttamento disumano di bambini, donne e uomini. Per spiegare all’interno del racconto come fosse possibile ricostruire le vicende di ciascun oggetto ho fatto ricorso alla psicometria, ovvero alla facoltà extrasensoriale che consente di leggere il campo magnetico di un oggetto e di conoscere così la storia di tutti coloro che ne siano entrati in contatto. Poiché tale facoltà rientra nel campo narrativo della fantascienza, ho proiettato le storie degli oggetti nel futuro, da qui il sottotitolo, creato da un mio amico, Memorie da un futuro remoto».

Come vi è venuta in mente l’idea di parlare di questo tema sociale partendo dal percorso che compiono gli oggetti che usiamo?
«Un mio amico mi ha suggerito di visitare il sito del giornale Peacereporter, dove ho letto della storia dei Boscimani del Botswana costretti dal governo del Paese ad abbandonare le loro terre dopo la scoperta che queste erano ricche di diamanti. Questo reportage mi ha ispirato una prima storia di sole quattro pagine, successivamente la ricerca si è estesa fino a comprendere, purtroppo, molti altri oggetti venduti in Occidente. A posteriori penso che mi abbia influenzato la frase di Gomorra, in cui Saviano affermava che sarebbe stato interessante conoscere non solo l’origine dei prodotti che compriamo, ma anche il tragitto compiuto da questi fino ad arrivare nelle nostre mani».

Di quanti oggetti parlate e come li avete legati insieme?
«Il fumetto parla di dodici oggetti, anche se purtroppo ce ne sono molti di più: l’oro, il cacao, i palloni, le scarpe sportive, i telefoni cellulari… Il filo rosso che li lega è proprio la psicometria. Ciascun oggetto è mostrato prima nel suo stato finito, nelle mani di una comune famiglia occidentale, poi girando pagina e usando la stessa inquadratura il prodotto è presentato nel suo stato originale come frutto dello sfruttamento umano, successivamente la storia della famiglia riprende e così inizia anche quella di un nuovo oggetto. Tutte le storie dei diversi oggetti sono infine racchiuse in una cornice fantascientifica che spiega il funzionamento della tecnica psicometrica».

Quali sono state le difficoltà che avete dovuto affrontare per realizzare questo progetto?
«Le difficoltà del progetto sono state molteplici. La fase di documentazione è stata lunga, accurata e basata sull’incrocio di fonti diverse e di testimonianze accertate e accertabili, inoltre poiché l’ambientazione della storia di ciascun oggetto era ogni volta diversa, dall’Africa all’America Centrale, dall’Asia alla Puglia, è stato necessario raccogliere una vasta mole di fotografie e filmati per realizzare i disegni. L’intero progetto ha, infatti, richiesto tre anni per la sua realizzazione, anche per via del necessario e costante aggiornamento delle diverse vicende, seguite nel loro evolversi fino all’ultimo minuto».

A quali risposte siete approdati alla fine di questo lavoro?
«Le risposte sono un costante appello alla nostra coscienza, viviamo sopra le nostre possibilità perché le multinazionali che controllano il mercato hanno imposto condizioni non dissimili dalla schiavitù a milioni di persone. I prodotti che arrivano dall’Africa, dalla Cina, dal Pakistan, da altri paesi asiatici e da quelli dell’America Centrale e Latina non sono mai puliti. Anche noi dobbiamo lottare per i diritti di queste persone, la delocalizzazione delle imprese in atto da qualche tempo nei nostri paesi è, infatti, un fenomeno proprio diffuso perché non abbiamo difeso i lavoratori dei Paesi in cui sono oggi trasferite le aziende, che possono così pagare salari miseri offrendo garanzie scarse o inesistenti. Non si possono difendere i propri diritti, se non si difendono quelli del nostro prossimo».

Progetti in cantiere?
«Tanti, quest’anno dovrei riuscire a pubblicare tre nuovi fumetti, due scritti a quattro mani e uno da solo. Per saperne di più potete seguirmi su www.filidifumetto.blogspot.com».

Stefania Oliveri

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