Vi derubano? Vi affamano? Cavoli vostri

“Tutti coloro che sono incapaci di imparare si sono messi a insegnare”, diceva Oscar Wilde. E di grandi maestri, oggi, è piena la Sicilia. Tutti a parlare. A predicare. A predire. A vaticinaare. Ad indicare. A sottolineare. Ad avvertire. A sostenere. Ad affermare. A Stigmatizzare. A bacchettare. A minacciare.
Da ‘Libro Cuore’, per esempio, le parole del presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, riportate stamattina a pagina 3 del Giornale di Sicilia. Tema (ovviamente): il rischio che, a partire da lunedì prossimo, ripartano le proteste degli agricoltori siciliani che si rifiutano di farsi ‘scippare’ i propri terreni dalle banche.
Il presidente degli industriali dell’Isola, che negli ultimi giorni ha cambiato opinione sul Movimento (forse ha capito che con questi agricoltori la mafia non c’entra nulla? chissà) si dice contento che i ‘Forconi’ non occuperanno strade e svincoli. E aggiunge che i blocchi delle raffinerie sarebbero un “errore”. Perché, dice, tanti siciliani lavorano in tali impianti. Bloccare le raffinerie, dice Lo Bello, significa danneggiare la Sicilia.
Che strano: noi pensavamo che bloccare le raffinerie siciliane – dove si raffina il 40 per cento e forse più del petrolio italiano – significa creare problemi al resto d’Italia… Le proteste organizzate dalle parti delle raffinerie, aggiunge Lo Bello, “rischiano di mettere fuori dal mercato una delle poche realtà produttive dell’Isola”. Infatti: le raffinerie dislocate in Sicilia sono così produttive che le imposte se le vanno a pagare in Lombardia…
Insomma: grandi produzioni di benzine. E pazienza se, di questa grande ricchezza, noi siciliani vediamo solo l’inquinamento. Via, ragioniamoci, è una ‘produzione’ anche questa: sì, una produzione, in quantitativi industriali, di malattie polmonari e teratologie (bambini nati deformi). Tutto questo ha creato un grande ‘indotto’ nella sanità…
Più ‘acute’ le parole di Maurizio Bernava, leader della Cisl siciliana. “Non ci si improvvisa né movimento, né sindacati, né partiti”. Insomma: se ‘sti agricoltori stanno morendo di fame, ebbene, che lo facciano in silenzio, senza disturbare gli operai che si stanno già avvelenando per i fatti loro nelle raffinerie. Basta con l’improvvisazione. I manifestanti debbono prendere l’esempio dai due sindacalisti della Cisl siciliana che, appena qualche mese fa, hanno stilato un comunicato ufficiale sollecitando la politica siciliana a trovare un accordo con il commissario dello Stato per risolvere la questione precari da ‘stabilizzare’: tanti a te, tanti a me. Dimenticando che il commissario dello Stato svolge il suo ruolo per controllare la costituzionalità delle leggi e non per fare ‘pastette’ con politica e sindacati. Questi due bravi sindacalisti della Cisl, ‘profondi conoscitori’ dell’ordinamento del nostro Paese non improvvisavano: anzi…
Immaginifici i rappresentanti delle organizzazioni agricole. Che, naturalmente, vedono come fumo negli occhi i ‘’Forconi’, forse perché, di fatto, sono il simbolo della loro incapacità di rappresentare non i problemi ‘buroratici’ dell’agricoltura, ma i problemi reali degli agricoltori dell’Isola. I ‘ragioneri’ delle Coldiretti spiegano che il Movimento dei ‘Forconi’ avrebbe provocato danni per 200 milioni di euro alla filiera agro-alimentare siciliana. Il presidente della Cia siciliana, Carmelo Gurrieri, ormai gira con il ‘prezziario’ in tasca: 40 milioni di euro di danni per gli ortaggi, 15 milioni di danni per le arance, 5 milioni di euro di danni per i limoni, 3 milioni di danni per i carciofi.
Noi, ovviamente, non siamo bravi come gli amici della Coldiretti e della Cia. Ma non possiamo fare a meno di notare che, in Sicilia, ci sono due agricolture. La prima è quella rappresentata, appunto, da Coldiretti e Cia: 100 milioni di euro di qua, 40 milioni di euro di là. Poi c’è una seconda agricoltura, quella che conosciamo noi: sono circa 150 mila agricoltori i quali hanno ricevuto, negli ultimi mesi, chi una, chi due, chi tre cartelle esattoriali. Sono – quelli che conosciamo noi – gli agricoltori che non sanno a chi vendere le arance perché gliele pagano a prezzi stracciati; che vendono il pomodorino di Pachino a 0,30 centesimo di euro al chilogrammo, sapendo che, 12 ore dopo, il loro prodotto verrà rivenduto a 8 euro al chilogrammo a Milano; sono quelli che non sanno a chi vendere la propria frutta, perché subiscono la concorrenza di quella che arriva da chissà dove e che viene prodotta con costi d produzione dieci volte inferiori ai loro costi di produzione.
E’ bello scoprire che, in Sicilia, oltre agli agricoltori che rischiano di perdere i propri terreni, ci sono anche quelli che se la passano bene, alias gli associati di Coldiretti e Cia. Ci fa piacere per loro. Si tratterà, evidentemente, non dei 150 mila inseguiti dalle cartelle esattoriali e dalle banche, ma di altri agricoltori – numericamente inferiori ai 150 mila, questo le organizzazioni agricole ce lo concederanno – che, semmai, hanno ricchi conti in banca. E noi che pensavamo che Coldiretti e Cia erano organizzazioni di massa…

 

Giulio Ambrosetti

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