La morte di Ana e gli inutili megafoni

E’ morta quattro giorni fa la giovanissima modella brasiliana Ana Carolina Reston e ancora l’alone di inquietudine segna le pagine delle maggiori testate internazionali. Una morte che ha colpito con un pugno sullo stomaco chi, di quella ‘cosa’ chiamata anoressia, sa ben poco, ma anche quelle migliaia di ragazze che, all’interno del loro cassetto privato, custodiscono gelosamente alimentandolo ogni giorno, il sogno delle passerelle, dei servizi fotografici, dei giornali patinati e del successo affidato alla bellezza del corpo.

 

Ed è sempre troppo tardi quando si ritorna a parlare di quanto sia malefica l’estrema e incontrollata idolatria del mito del Bello; è sempre in ritardo la denuncia contro un mondo mediatico pieno zeppo di cartelloni luccicanti e ‘iconizzato’ da occhi troppo azzurri, di pance troppo piatte, di capelli troppo morbidi e di corpi troppo, davvero troppo, limati ad opera d’arte.

Sono sempre troppo retoriche, a caratteri cubitali, le campagne d’opinione dei media scandalizzate, ma ‘manieristicamente’ inviperite. E c’è sempre qualcuno, all’indomani di una tragedia, simile a quella di Ana Carolina, a dire: “te l’avevo detto io, è sempre stato così”.

 

Che il mondo della moda d’oggi – ma a dire la verità ormai da qualche generazione – è una roulette russa micidiale, si sa bene. Che le ragazze corrono a ritmi disumani e vivono strette tra le maglie di una concorrenza sia ‘fisica’ che ‘psicologica’ che proverebbe chiunque, è una realtà indiscutibile. Ma per una volta, per carità, lasciamo che i ‘casi’ si sgonfino e che non debbano, per forza, coprire con le loro panciute polemiche e con i loro sociologici dibattiti il dramma di una giovane ragazza. Non aggrediamo il dolore di una madre che si è vista strappare via di mano una figlia di ventuno anni per un’insufficienza renale. Non assecondiamo il tam-tam dei particolari, che vivono grottescamente di ‘ultime parole’, ‘ultimi sguardi’ e di ‘ultimi pasti a base di pomodori e mele’.

 

Per una volta, almeno per una volta, dedichiamo il dovuto rispetto per la morte di una persona. Impiegata, studentessa o modella che sia.   

Riccardo Marra

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