A sessant’anni dal voto, le donne chiedono di più

Sono le 16.10 e l’aula magna del Palazzo centrale è quasi piena. Rimango piacevolmente sorpresa nello scoprire che non ci sono solo adulti: parecchie ragazze occupano le poltroncine della sala. Mio malgrado, però, noto anche che siamo quasi tutte donne. “Ecco – mi dico – ci siamo: l’ennesimo incontro sulle pari opportunità in cui si parla delle donne alle donne”. Ed è quello che di lì a poco sottolinea una delle relatrici, l’Onorevole Cinzia Dato: “Ma dove sono gli uomini? Sono loro che dovrebbero ascoltare queste cose”.

Ma, uomini o no, il dibattito comincia. Le relatrici e i relatori si siedono. Il posto del nostro rettore, Recca, rimane vuoto. Fa un’interessante introduzione il Professor Antonio Pioletti, la cui presenza non è inusuale in queste occasioni. “C’è sempre qualcosa da imparare dalle donne, in questi incontri. Il nostro Ateneo deve stare attento, rimanere in ascolto rispetto a tutto quello che va mutando, prestando attenzione soprattutto ai nuovi linguaggi. Suo compito è quello di lasciarsi attraversare dalle diversità, dilaniare dalle contraddizioni. Il nostro deve essere un Ateneo pronto a sperimentare.”.

Da il via al dibattito Rita Palidda del Comitato Pari Opportunità, la quale, ricordando le conquiste che le donne hanno fatto a sessant’anni dal voto, fa notare come ancora la cittadinanza civile delle donne rimanga incompiuta: “Ci sono segnali positivi ma c’è una forte discontinuità che non rende ancora la donna effettivamente libera dai pregiudizi e dalle discriminazioni. In particolare la linea di maggiore resistenza è quella politica. E non si può ridurre il tutto ad una questione numerica. C’è da lavorare ancora molto in tal senso.”. 

La parola passa alla professoressa Patrizia Gabrielli, docente di Storia contemporanea dell’Università di Siena. Partendo dal primo voto alle donne nel lontano 2 Giugno del 46, e passando attraverso citazioni della scrittrice e giornalista Anna Garofano, traccia un interessante excursus storico sulla donna: “Quel voto infrangeva la concezione del diritto di cittadinanza maschile. Si scalfiva la netta separazione fra le due sfere. La guerra e la resistenza hanno accelerato questo processo poiché durante l’assenza degli uomini partiti per combattere, le donne si riscoprivano capaci di fare lavori fino a quel momento svolti solo dagli uomini. Tale consapevolezza si fa sempre più forte soprattutto nelle nuove generazioni.”.

È finalmente il turno di un uomo, un “filosofo del diritto e della vita”: il professor Pietro Barcellona dellla facoltà di Giurisprudenza di Catania. Con un discorso volutamente provocatorio, si dichiara scontento del tentativo delle donne di oggi che vogliono sempre più occupare posti di potere: “La proiezione verso un potere insaziabile  è una cosa tipicamente maschile. Il potere maschile che si proietta all’infinito fino a voler fare tutto, è la risposta al parto della donna che garantisce la conservazione dell’essere umano. Un potere che l’uomo non ha e che per questo tende a sostituire con una protesi: il mito del ‘farsi da sé’. Le donne vivono una dimensione simbolica che appartiene solo a loro ma che tentano di negare. Le donne negano la propria femminilità

E con alcuni riferimenti al mondo della televisione e al tema della violenza crescente esercitata sulle donne, sente di poter dire che in questa epoca storica assistiamo ai “funerali della femminilità”.

L’Onorevole Dato fa notare come, secondo i risultati di una ricerca, non c’è differenza sostanziale nel trattamento delle donne fra paesi sviluppati e sottosviluppati. “È un dato che fa riflettere. In seconda battuta bisogna riflettere sull’assenza delle donne in politica. Le donne, anche se più istruite degli uomini, occupano solo il 27% dei posti lavoro. Un dato che tende a calare. Probabilmente per colpa del mercato nero. Non è vero che le donne scelgono fra famiglia e lavoro. I dati dicono che solo le donne con un lavoro e una  vita serena fanno dei figli. Perciò bisogna garantir loro tutto ciò. E per far questo ci vuole una maggiore rappresentanza politica per le donne, cosa che deve tradursi in una maggiore democrazia interna che combatta la logica oligarchica di molti partiti. Ci vogliono norme di garanzia per l’accesso alle candidature. Anche se non sono sicura che le quote siano una soluzione appropriata. Coinvolgere le donne significa lavorare per una democrazia più partecipativa e quindi più sana.”.  

Conclude l’incontro la professoressa Emma Baeri, che, da brava storica del femminismo, ricorda cosa è stato il femminismo in Italia e quali lotte ha portato avanti, replicando prontamente alle provocazioni del Prof. Barcellona: “Altro che funerali, dobbiamo festeggiare con gioia le conquiste fatte dalla donna. Se si considera che tutelare la donna vuol dire tutelare la società, si è già compiuto un salto di qualità. Esistono più ‘femminismi’: – spiega la Baeri – quello degli anni 70, in cui la diversità viene considerata un valore, e quello degli anni 80, in cui si cerca di ri-tematizzare ciò che si è appreso prima. Due sono le più importanti cerniere di cittadinanza: l’aborto, che definisce un diritto civile complesso non traducibile in termini giuridici, e la violenza sessuale, un reato dispari perché compiuto solo dagli uomini. Abbiamo ottenuto grandi risultati ma c’è ancora tanto da fare.”.

Nonostante la tarda ora (sono già le 19.30), il dibattito si protrae ancora con gli interventi di un pubblico tutto al femminile. Le opinioni espresse e gli argomenti toccati sono stati molteplici, ma tutti accomunati da un’amarezza di fondo. Le donne sentono di aver perso la loro battaglia. E, ahimè, devo costatare che è così. Ma siamo troppo caparbie per poterci arrendere a questo punto. La pagina più bella della storia delle donne deve ancora essere scritta.

Stefania Placenti

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