Il ritorno del riso in Sicilia, successo che può fare scuola Ricerca e tecnologia a servizio della produzione biologica

«C’è un imprenditore che vuole realizzare un arancino cento per cento siciliano, ma gli manca il riso. Ce l’hai un ettaro da mettere a disposizione?». Nel giugno del 2016 Sebastiano Conti riceve questa telefonata. Fino ad allora nella sua mente mai era balenata l’idea di destinare una parte dei suoi terreni alla coltivazione del cereale più consumato nel mondo. Il riso in Sicilia? Quasi nessuno lo ricorda, eppure era ampiamente presente nel passato dell’Isola, almeno fino all’inizio del ‘900. Oggi, a distanza di tre anni e mezzo da quella originale proposta, l’arancino interamente made in Sicily è stato prodotto dallo chef Tommaso Cannata*, mentre Conti nel 2020 seminerà riso su ben 300 ettari. «In quattro stagioni il mio fatturato è cresciuto del 35 per cento grazie al riso», gongola l’imprenditore agricolo di Lentini che, nell’ultimo periodo, è stato seguito da altri due colleghi della zona, Pietro Cunsolo e Giuseppe Ferrante. 

Prima di lui solo un altro produttore, una decina di anni fa, ci aveva provato con discreto successo: Angelo Manna di Leonforte, autentico precursore siciliano nel settore. Ma ormai la strada sembra segnata: il riso in Sicilia è tornato, con peculiarità tutte sue, sia nella coltivazione che nelle proprietà nutritive, che lo rendono differente rispetto a quello prodotto in Nord Italia. E molto apprezzato. A sostenerne la crescita è anche l’Università di Catania che, attraverso i docenti del dipartimento di Agricoltura e Alimentazione, Paolo Guarnaccia e Paolo Caruso, supporta i produttori. «Stiamo portando avanti una ricerca on farm, accanto alle aziende, per individuare le varietà di riso che si adattano meglio al nostro territorio», spiega Guarnaccia. 

Nella piana di Catania, Conti ha iniziato con pochi ettari, arrivando nel 2019 a 160. Che nel 2020 verranno quasi raddoppiati. «Produciamo riso biologico con residuale zero – spiega – significa zero residui di fitofarmaci, può essere usato pure come baby food, è molto apprezzato e richiesto». Anche da chi è intollerante al glutine, visto che ne è sprovvisto. Pensando alla coltivazione del riso, la mente corre alle risaie del Piemonte sommerse di acqua. In Sicilia invece si sta portando avanti un modello completamente differente, quello a irrigazione turnata. «È fondamentale avere terreni ben livellati, con una leggera pendenza – spiega Guarnaccia, docente di Unict – cosa che, ad esempio, Conti ha fatto grazie a una livellatrice laser. L’acqua viene introdotta nei terreni a monte, i solchi sono posti a circa 40 metri di distanza l’uno dall’altro e l’acqua scorre in maniera uniforme. Il futuro sta qui». La resa è molto alta: su un ettaro si arrivano a produrre 60 quintali di riso biologico, che viene venduto al consumatore a sei euro al chilo. A fronte di costi di gestione, grazie al risparmio sull’acqua, inferiori del 50 per cento rispetto a quelli del Nord Italia. 

La svolta è arrivata grazie all’investimento iniziale sui macchinari che ha permesso di chiudere il ciclo dalla coltivazione alla vendita, evitando di spedire il riso in stabilimenti del Nord. «Dopo il raccolto – sottolinea Guarnaccia – il riso deve immediatamente subire l’essiccazione altrimenti si rovina. E poi, siccome la pianta non è nuda come quella del grano, va decorticata, tecnicamente si dice sbramata». Conti si è quindi dotato di essicatore, metitrebbia e sbramatrice. Oltre alla livellatrice laser. Tecnologia a servizio dello sviluppo dell’agricoltura, in una Regione che ancora a inizio ‘900 vantava coltivazioni di riso. Nel 1912 – annotano i docenti Guarnaccia e Caruso – si registravano 252 ettari in provincia di Siracusa (Augusta, Lentini e Carlentini) e 275 ettari in provincia di Catania (Ramacca, Paternò, Belpasso e lungo il fiume Simeto). Poi le bonifiche delle aree paludose sotto il periodo fascista misero fine alla produzione. 

«Ma se il riso potesse parlare direbbe: “Fatemi crescere in Sicilia, non in Pianura Padana”». A dirlo non è un siciliano, ma Massimo Biloni, ricercatore a capo dell’Ires (Italian Rice Experiment Station), centro di ricerche privato, specializzato nella ricerca, costituzione, registrazione e commercializzazione di nuove varietà di riso in Italia e all’estero. L’Ires ha sede tra Novara, Vercelli e Pavia, l’area risicola più grande d’Italia. «Il riso – spiega – è una pianta che ama il caldo, se solo in Sicilia si riuscisse a usare meglio l’acqua…». 

Il professore Guarnaccia collabora con Biloni per capire quali delle 200 varietà di riso esistenti si adattano meglio alla Sicilia. «La maggior parte delle varietà – sottolinea Biloni – sono state create da ricercatori qui in Piemonte e rispondono alle nostre condizioni ambientali. Adesso è arrivato il momento di capire quali si comportano meglio a Sud. A breve – conclude – avremo i risultati».

*In una prima versione dell’articolo, per errore, era stato scritto che l’arancino 100 per cento siciliano non era stato prodotto.

Salvo Catalano

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