Il racconto da San Cono dopo il tentato omicidio Una vittima: «Le botte? Perché siamo egiziani»

«Questo arriva fino in Egitto?». Prima di decidere se raccontare oppure no quello che gli è successo, una delle vittime dell’aggressione chiede se le sue parole potranno arrivare fino a casa sua. Ha 16 anni ed è arrivato in Italia pochi mesi fa. Da giugno vive nel centro di prima accoglienza di San Michele di Ganzaria, gestito dalla cooperativa San Francesco. È uno dei minori migranti che sono stati presi a colpi di mazza da baseball lo scorso sabato, picchiati a sangue da tre giovani del vicino Comune di San Cono. Uno dei ragazzi è stato bastonato e colpito col calcio di una pistola ad aria compressa ed è ricoverato in gravissime condizioni all’ospedale Garibaldi di Catania. In coma farmacologico da sabato, ha subito un delicato intervento alla testa ed è ancora in pericolo di vita. «Stavamo andando in paese, abbiamo fatto un saluto a dei ragazzi con la macchina, loro ci hanno chiesto di avvicinarci. Noi non ci siamo andati e abbiamo continuato a camminare. Quando siamo tornati, dopo il mercato, ci hanno bloccato la strada. M. era più avanti, lo hanno picchiato più forte perché era il primo». 

A essere accusati di tentato omicidio, lesioni e porto illecito di arma impropria sono Giacomo e Davide Severo (rispettivamente classe 1984 e 1993) e Antonino Spitale (classe 1998). Incensurati tutti e tre, «persone oneste e lavoratori», li descrivono i loro concittadini sanconesi. Che raccontano una storia fatta di mancata integrazione, aggressioni a tarda sera e paura di convivere coi migranti. Tra San Cono e San Michele di Ganzaria, poco più di seimila anime in due Comuni, ci sono tre Sprar (strutture di protezione per richiedenti asilo basate su piccole comunità sostenibili) e un centro per minori non accompagnati. A trovare posto al loro interno sono un’ottantina di migranti, tra i quali anche alcuni nuclei familiari. Ma non sempre il risultato corrisponde agli obiettivi dei sistemi di accoglienza. «Qualche giorno fa mi sono messo in mezzo a una rissa – racconta la vittima del pestaggio – C’erano alcuni egiziani che litigavano con un gruppo di italiani e io e gli altri li abbiamo divisi». Secondo quanto raccontato dal minore gli egiziani protagonisti della lite non sono tra quelli che vivono con lui nella comunità gestita dalla coop San Francesco. E ribadisce che lui, con il clima pesante che si è venuto a creare a San Cono, non c’entra. 

«Noi abbiamo paura a uscire la sera – spiega una ragazza -. Qualche notte fa, intorno all’una e mezza, all’improvviso qua in piazza è successa una cosa assurda». Un sanconese di 19 anni sarebbe stato aggredito a colpi di cinture, «letteralmente preso a frustate, da un gruppo di egiziani. Soltanto perché questi ragazzi si erano sentiti presi in giro». I carabinieri della zona la storia la conoscono, ma non hanno ricevuto denunce. «Li abbiamo chiamati ma neanche sono venuti», dice ancora la giovane. «Non servono le denunce, qua la giustizia ce la sappiamo fare da soli», dicono alcuni uomini di mezza età al bar di fronte al municipio. Una risposta che, secondo alcune testimonianze, avrebbe dato anche il padre del 19enne malmenato, spiegando di non volersi rivolgere alle forze dell’ordine.

Per questo gli investigatori cercano anche in quella direzione. Restano da arrestare due presunti complici dell’agguato: i due uomini che guidavano le auto, una nera e una bianca, con i quali i tre aggressori sarebbero fuggiti. È a tutti loro che buona parte dei concittadini dà solidarietà: «Hanno sbagliato a fare quello che hanno fatto – afferma un giovanissimo -. Ma non si può raccontare solo una parte della storia. Quando uno si sente toccato suo figlio cosa deve fare?». Il riferimento è a un altro dei presunti moventi del pestaggio: la scorsa settimana, sembra che Giacomo Severo stesse passando con la moglie e il figlio, ancora nel passeggino, dalla piazza centrale. E alcuni ragazzi di colore avrebbero preso di mira, con le pallonate, proprio la carrozzina del bimbo. «Lui gli ha tolto il pallone e stava finendo alle mani», spiegano i sanconesi. Una versione che i militari dell’Arma, che indagano sul caso, confermano.

C’è, poi, il nodo di un torneo di calcetto. Un altro momento di tensione tra autoctoni e richiedenti asilo si sarebbe verificato dopo la finale della competizione organizzata in paese, persa dai migranti. Ma la storia comune è che coltellini, bottiglie rotte, cinghie e spranghe di ferro siano armi usate comunemente da un gruppetto ristretto di migranti per avere la meglio sui giovani del paese. «Adesso ci sono pattuglie su pattuglie – denunciano loro -. Normalmente però di polizia e carabinieri non se ne vedono. Se le guardie non intervengono, poi che si aspettano?». «Fino a poco tempo fa qualche ragazzo più problematico c’è stato – conferma Rossana Russo, presidente della cooperativa San Francesco – Ma alcuni sono scappati e non vivono più qui. Due egiziani, che erano ospiti dello Sprar di San Cono, sono stati trasferiti a Grammichele dopo che avevano dato dei problemi in paese. Erano adulti, però, e con questi minorenni non c’entrano». La tesi delle educatrici è che i quattro picchiati siano stati un capro espiatorio. «Non avevamo fatto niente, ci hanno presi a botte solo perché siamo egiziani», conferma il 16enne che si è salvato. Il suo connazionale, nel frattempo, rischia di non farcela.


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