Il Massimo tra sprechi e ‘sparagni’

Sospira un vecchio dipendente: “Il sovrintendente, Antonio Cognata, dice che sta risanando i conti del Teatro. Magari è vero. Ma un Teatro lirico che si rispetti deve mantenere un minimo di decoro. Altrimenti è meglio chiuderlo. Anche perché, a Palermo, il pubblico è esigente. La lirica, dalle nostre parti, vanta una grande tradizione. Quando si mettono in scena rappresentazioni non all’altezza della nostra storia, il pubblico lo capisce. E purtroppo, negli ultimi tempi, questo è avvenuto…”.
Già, le rappresentazioni “non all’altezza”. Come l’Aida di qualche tempo fa al Teatro di Verdura. Un flop. Nella città – la nostra disastrata Palermo – che come ha più volte ribadito Link Sicilia (e come ha opportunamente stigmatizzato qualche giorno fa l’Arcivescovo di Palermo, Cardinale Paolo Romeo) conta più dipendenti comunali dell’intera Regione siciliana (19 mila i dipendenti del Comune, mettendoci dentro i dipendenti delle società municipalizzate, contro i 17 mila e 800 della Regione), è ‘quasi’ normale che la crisi finanziaria ‘inghiotta’ pure il Teatro Massimo.
Ieri, dalle colonne del nostro giornale, Loris Sanlorenzo ammoniva a non farsi troppe illusioni. Non è detto che, tra qualche mese, quando i palermitani saranno chiamati ad eleggere il nuovo sindaco e il nuovo consiglio comunale, si ricordino di chi ha ridotto uno straccio la nostra città. Il centrodestra, che ha ‘sgovernato’ Palermo per dieci lungi anni con Diego Cammarata sindaco, ha lasciato la città priva di servizi sociali, con i poveri, vecchi e nuovi, che ogni giorno prendono d’assalto i banchi alimentari. Con le attività culturali azzerate. Con la Fiera del Mediterraneo ‘saccheggiata’ e chiusa in attesa di una speculazione edilizia, magari con hotel.
Buona parte delle strutture e delle attività pubbliche sono scomparse. Non c’è un solo settore dell’economia cittadina che non sia stato penalizzato. Il resto lo sta facendo la crisi economica nazionale e internazionale. Dallo sfascio non poteva sfuggire il Teatro Massimo. Del quale, per statuto, il sindaco è il presidente.
Che succede al Teatro Massimo? Qualche anticipazione l’abbiamo data nei giorni scorsi. Maestri che disertano perché stanchi di fronteggiare quella che, di fatto, sembra una grande ‘disorganizzazione organizzata’. L’orchestra – e questa è notizia che abbiamo riportato ieri – che sabato sera, dopo un’animata assemblea, ‘sfiducia’ il direttore artistico Lorenzo Mariani.
Che succede al Teatro Massimo? Per raccontare tutto quello che sta avvenendo non basterebbe un numero del nostro giornale. In questo articolo ci dobbiamo limitare solo ad alcune considerazioni generali. Che – da sole – la dicono lunga sull’approssimazione con la quale viene gestito uno dei più importanti e antichi Teatri lirici d’Italia.
Il personale, per esempio. Da tempo, chi va in pensione non viene sostituito. A cominciare dal corpo di ballo. Una decina di ballerini sono andati in pensione. Ne rimangono cinque o sei. Pochi per programmare una produzione. Non va meglio con il coro. Nel coro dovrebbero essere in novanta. Invece sono ridotti a sessanta. Anche sul canto, al Teatro Massimo, ormai,come si dice dalle nostre parti, si va allo ‘sparagno’. Come per i macchinisti del palcoscenico: dovrebbero essere quaranta, invece sono quindici. E tutti su con gli anni.
Non parliamo, poi, della sartoria di Brancaccio, un tempo gloria e vanto delle produzioni del Teatro Massimo. In questo caso, purtroppo, siamo ben al di là dello ‘sparagno’: siamo alla liquidazione bell’e buona. Un disastro. Vi risparmiamo la biglietteria. Dove le polemiche si sprecano.
E’ chiaro che, tagliando di qua e risparmiando di là, non si capisce come il Teatro Massimo possa produrre rappresentazioni. Chiudere le produzioni per acquistarle da fuori, magari di second’ordine? Il dubbio c’è, a giudicare da quello che sta succedendo.
E’ così mal ridotto, il Teatro Massimo, sotto il profilo finanziario? Il documento diramato ieri dall’orchestra ricorda che gli sponsor privati, a Palermo, sono ininfluenti. Non si potrebbe fare di più, magari facendo lavorare la fantasia? Non resta che rivolgersi al Comune (che è in ‘bolletta’ e cerca 100 milioni di euro per pagare i 9 mila ex precari ‘stabilizzati’ nelle società municipalizzate dalla politica: pagarli per sei o sette mesi, ovviamente, perché poi il problema si riproporrà, tale e quale), alla Provincia (che ha ‘investito’ 35 milioni di euro in una incredibile speculazione finanziaria andata a male senza che nessuno, fino ad oggi, abbia pagato il conto) e alla Regione siciliana (che ha oltre 5 miliardi di euro di ‘buco’ su un bilancio di competenza di 26 miliardi di euro). Ricordiamo, comunque, che i palermitani – i tanti palermitani (e non soltanto palermitani, a dir la verità) che amano la lirica – non si tirano indietro per acquisti e abbonamenti. Per avere in cambio rappresentazioni non sempre “all’altezza” (ma di questo – che pure non è un elemento secondario – nessuno parla).
Fine del Teatro Massimo, insomma?, così com’è avvenuto per quasi tutte le altre attività culturali della città, così com’è avvenuto per le attività sociali e via contiuando?
Non mancano gli sprechi, come fa notare la Cisal. “La presente relazione – leggiamo in un documento ufficiale di questo sindacato – si riferisce a numerosi programmi di lavoro settimanali, riguardanti l’aera artistica della Fondazione Teatro Massimo di Palermo, che vanno dal giorno 1 gennaio 2007 al 31 dicembre 2008 dai quali si evince una consistente mancanza di programmazione (in termini di giornate lavorative) che riguarda il reparto orchestra”.
“Le suddette giornate lavorative sono 56 – leggiamo ancora nella nota della Cisal – giornate lavorative nelle quali l’orchestra non è stata impiegata in nessuna produzione artistica, e nelle quali i professori sono stati liberati da ogni impegno con la Fondazione (il riferimento è alla Fondazione Teatro Massimo ndr). Altresì sono state individuate n. 78 giornate lavorative nelle quali il programma di lavoro prevedeva il solo spettacolo pomeridiano o serale senza la prestazione mattutina (prova)”.
“In considerazione del fatto che un professore d’orchestra di IV livello (il più basso) costa complessivamente alla Fondazione Teatro Massimo circa 150 euro per ogni giornata lavorativa e che l’orchestra della Fondazione è formata da 110 professori d’orchestra, va preso atto che ogni giornata lavorativa dell’orchestra costa alla stessa Fondazione una cifra pari a 16.500 euro circa”.
“In conclusione – leggiamo sempre nella nota – escludendo le giornate di spettacolo in cui la Fondazione Teatro Massimo di Palermo si è avvalsa della facoltà di non programmare lavoro per l’orchestra ai sensi del vigente CCNL, nell’arco dei ventiquattro mesi presi in esame, la suddetta Fondazione ha speso all’incirca 924.000 euro per la produzione del nulla”.
Insomma: si ‘sparagna’ sul corpo di ballo, si smantella il coro, si mette in ‘liquidazione’ la sartoria di Brancaccio, non si assumono i nuovi macchinisti del palcoscenico e poi si getta dalla finestra quasi un milione di euro?
“Si segnala inoltre – scrivono i ‘puntuti’ sindacalisti della Cisal – che per il coro era stato inizialmente previsto un impegno nella produzione ‘da una casa di morti’ (Janacek), in programmazione dal 16 al 22 Ottobre 2008, col solo intervento musicale senza azione scenica, quindi da dietro le quinte. Improvvisamente si è deciso di scritturare un coro esterno per poter consentire la partecipazione attiva del coro anche nell’ azione”.

“N.B.
Quanto sopra è interamente supportato da documentazione ufficiale”.
Più chiaro di così…

 

 

 

 

 

 

 

 

Blasco da Castiglione

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