Il filo che lega il consigliere Petrina all’Etna bar Fondatore nel 2011 della società ora sequestrata

Il filo che lega il consigliere comunale di Catania Francesco Petrina e l’Etna bar risale almeno al 2011. E forse, a ben guardare, anche al 2008, quando la sede del suo comitato elettorale era proprio lo storico bar di via Galermo. L’attività commerciale è stata di recente sequestrata dalla magistratura. E da quel momento le attenzioni si sono rivolte tutte sulla World games srl, società che aveva in gestione il bar, la pizzeria, la sala ricevimenti e la ludoteca. Un’azienda intestata ad altri ma, secondo la magistratura, riferibile direttamente a Cosimo Tudisco, pregiudicato e già in carcere, ritenuto vicino al clan Cappello-Bonaccorsi. Tra le teste di legno che Tudisco avrebbe usato per gestire occultamente l’attività commerciale, ci sarebbe anche Rosaria Lanzafame (classe 1990), compagna dell’uomo e, per un periodo, amministratrice della World games. A fondare la società, nel 2011, è proprio Francesco Petrina, componente del senato cittadino etneo, eletto tra le file della maggioranza. «Non indagato e mai sentito dalla magistratura», precisa il suo legale.

Con capitale sociale di diecimila euro, è Petrina a detenere il 99 per cento delle quote all’atto di costituzione della società. Lasciando il restante 1 per cento a una donna, che – nonostante la partecipazione minoritaria – ne diventerà amministratrice unica. Ma la vicenda societaria della ditta è ben più complicata di così e si dipana come una matassa tra compravendite di quote e affitti di rami d’azienda. Comincia tutto il 20 settembre 2011, quando Francesco Petrina e Donata Elena Zanghì – una privata cittadina che non aveva mai avuto altre partecipazioni – fondano la World games. Un’impresa che, secondo la procura, è nata con lo scopo di gestire l’Etna bar. Il 13 dicembre dello stesso anno, la World games acquista dalla Aleval car – una snc all’epoca in liquidazione – il ramo d’azienda che gestisce il locale. È il 6 aprile 2012 quando, in effetti, la società apre una sede in via Galermo 338, avviando la propria stagione nel palazzone di tre piani adesso al centro delle cronache.

A cambiare, dal 2012 al 2014, sono ben poche cose. Solo che, all’inizio del 2014, la società del consigliere Petrina e di Zanghì smette di gestire il locale e lo affitta a un’altra società, la Vittoria srl, di cui è amministratrice unica e legale rappresentante un’altra donna: Graziella Ninfo. L’accordo è semplice: la World games affitta l’intera attività alla Vittoria, che ha sede legale in via Galermo 338 (cioè all’Etna bar) per 120mila euro l’anno, per un anno rinnovabile. Invece che versare i soldi in un’unica soluzione, le due srl decidono per un canone d’affitto mensile di diecimila euro. Pochi mesi dopo, le cose cambiano di nuovo: il 27 giugno 2014 il consigliere Francesco Petrina acquista il restante 1 per cento della World games. Pagando i cento euro di capitale sociale che gli mancavano per acquisirne la totalità e concordando con la sua ex socia, Donata Elena Zanghì, che il valore effettivo di quella quota societaria sia proprio di cento euro, cioè uguale al valore nominale.

Tredici giorni dopo, il 10 luglio, Francesco Petrina è di nuovo dal notaio. Stavolta per vendere il 100 per cento della World games. In mezzo ci sono ancora due donne: Rosaria Lanzafame, secondo la questura attuale compagna del presunto mafioso Cosimo Tudisco, e Maria Grazia Marchese. È con loro che Petrina conclude l’affare: il 34 per cento delle quote viene venduto a Lanzafame al prezzo di 17.500 euro; il 66 per cento, invece, va a Marchese, che paga 37.500 euro.

Da questo momento in poi il consigliere Petrina esce di scena e rimangono solo le due donne. Finché, nel 2016, spunta Agostino Pacifico, che diventa proprietario del cento per cento dell’impresa. È al periodo che riguarda Lanzafame, Marchese e Pacifico che la magistratura guarda col sospetto che, dietro alle attività commerciali, ci sia in realtà il clan Cappello. «Il mio assistito in questa vicenda non c’entra assolutamente nulla», dice Marco Mazzeo Viante, avvocato del consigliere comunale. «Faccio un esempio: se io vendo una macchina e poi quella macchina viene usata per fare una rapina, sono colpevole della rapina? – domanda il legale – Petrina è un imprenditore, ha fatto il suo lavoro e la magistratura non ha ritenuto di indagare su di lui. Tanto basta».

Non è la prima volta, però, che quel bar costa al politico di maggioranza la citazione in vicende giudiziarie non certo piacevoli. È per via dell’Etna bar che viene menzionato nella relazione della commissione antimafia all’Ars perché, nel corso del processo per voto di scambio all’ex governatore Raffaele Lombardo, il pentito Vincenzo Pettinati parla di un tale «Retina, Etna bar» per «metodi di scambio denaro-voti» in relazione alle elezioni del 2008. A individuare in «Retina» il consigliere Francesco Petrina è direttamente Lombardo. Nel corso di un processo in cui il consigliere comunale non è mai stato coinvolto e che vedrà, alla fine, l’assoluzione dell’ex presidente della Regione Siciliana «perché il fatto non sussiste». «Ma alle volte il sospetto è peggio di una condanna», conclude l’avvocato Mazzeo Viante.

Luisa Santangelo

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