Il cucchiaio nelle orecchie – Tredici sulla ruota di Palermo

E’ come abitare in un mondo che non c’è più. Sarebbe bastato nulla per incollare la pipì là sul muro prima di salire, osservare la creazione di una pozzanghera giallorossa regionale. Ma il muro è videosorvegliato, ben presto lo saranno anche i cimiteri di Palermo, così, anche i muri non ci saranno più e la pipì non la fai, aspetti tredici ascensori, videosorvegliati anche quelli, uno di loro ti solleverà sino al tredicesimo piano. Catenacci e chiavi assenti nelle toppe dei gabinetti ti sbarreranno la strada per rischio igiene. Nei corridoi incontrerai uomini che scuotono la testa in unisono con i foni d’orecchio e con uno strano controppasso degli occhi ti faranno sapere che non sanno. Ma la faccia dal terrazzo, ti suggerisce il più garbato e ciarliero di questi animali. Da così alto se qualcuno ti vede, se la vede e la immagina ancora più piccola di quanto è, se la vede il vento e la imbarca. No pensi, e la trattieni al tredicesimo piano di questo ufficio della Regione siciliana che dovrebbe avere, oltre le cabine biologiche, quadri e fotografie alle pareti, fiere del libro dei libri e delle città e di palermo che non è più e di tutte le città che non sanno essere città, città come palermo, spettacoli continui di gruppi musicali o teatrali che svolgono la meritoria funzione di alleggerimento burocratico con trailers sadomaso, e allietino il pubblico che aspetta ore dietro porte chiuse, ore dietro porte aperte ma vuote della signora la grua o del funzionario direttivo la motta, quelli dei cartellini. Da una ala del piano tredicesimo così ben pennuta a un’altra sventrata dai lavori in corso, con quinte di cellophan sguaiate per via delle correnti, aspetti. Aspetti e nell’aspetto sei un angelo del tredicesimo piano pronto a buttarsi, a volare naturalmente su begli edifici e belle circonvallazioni, la realtà vola, si è pronti per lanciarsi con due ali sbilenche, grandi di più di quelle dell’arcangelo, due ali di palazzo dopotutto, capaci di spiraleggiare non di precipitare. Un sogno, un dream da schizzati, Aspettare non chiede spiegazioni, perché niente c’è più. Aspettiamo ancora un po’ il dottor La Grugna tra poco ci riceve, lui ci aspetta, aspettiamo perché siamo devoti di don bosco e del bosco che un giorno ci concupì bambini facendoci assaporare il gusto di un gusto che è il gusto del colore delle vocali, così non la tratterrai più, male che vada la farai un volo, ma dal tredicesimo piano non dovrai più pigiare l’orrendo sudato pulsante numero 0 dell’ascensore.

Francesco Gambaro

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