Risparmiatori traditi: costretti a vedere i propri soldi, investiti in azioni, che restano congelati perché i titoli non si possono più vendere. Il caso è quello che riguarda centinaia di clienti della Banca agricola popolare di Ragusa. L’istituto a più riprese è stato condannato dall’arbitro per le controversie finanziarie, sistema specifico gestito dalla Consob – la Commissione nazionale per le società e la borsa -, per le questioni che riguardano investitori non professionali e intermediari finanziari. L’obiettivo per i clienti è quello di tornare in possesso dei propri risparmi a cui in questi anni hanno dovuto rinunciare. Ad aiutarli c’è l’Adusbef, associazione a tutela dei consumatori specializzata nel settore finanziario.
«I protagonisti di questa storia sono risparmiatori e famiglie che si fidavano della banca di riferimento del territorio», spiega durante la trasmissione Direttora d’aria, in onda su Radio Fantastica e Sestarete Tv, Elisabetta Freni, avvocata e delegata Adusbef Catania e Ragusa. «Venivano consigliati ad acquistare azioni non quotate in borsa con la rassicurazione che fosse un investimento non rischioso e che avrebbe fruttato, dando comunque la possibilità di essere liquidate in tre giorni». Cioè i risparmiatori potevano vendere in poco tempo le proprie azioni riprendendone il valore e l’eventuale guadagno. «Dal 2016 in poi la banca ha reso il tutto molto complicato, senza svolgere il ruolo di negoziazione. Con il passare del tempo le azioni hanno perso circa il 40 per cento del loro valore – continua Freni – e i risparmi sono rimasti bloccati». I clienti di questa storia hanno capito poco o nulla, rendendosi conto del problema quando avevano bisogno di accedere ai propri risparmi e vedendosi negata la possibilità.
Un problema innanzitutto di comunicazione: secondo Adusbef, carente e poco chiara. «Stiamo parlando di un territorio colpito in maniera massiccia perché quasi tutte le famiglie hanno investito in azioni, anche con più persone all’interno dello stesso nucleo – continua l’avvocata – Se nasceva il nipotino, per esempio, qualcuno ha anche deciso di comprargli le azioni». «Abbiamo scelto di procedere davanti all’arbitro per fare capire alla banca che certe deduzioni, da parte nostra, avevano un fondamento giuridico – spiega Freni – Anche questo istituto, purtroppo, è un po’ lento ma dopo quasi due anni sono arrivate tutte le decisioni e si è formato un orientamento importante e costante che ha evidenziato un inadempimento da parte della banca. Chi si rapporta con il cliente deve avere un comportamento tale da renderlo davvero consapevole». Ma visto che l’istituto continua a ignorare le pronunce e a non cercare una soluzione, il prossimo passo annunciato saranno le cause.
A reclamare i propri risparmi c’è, tra i tanti, Maria Rita Gueli. Cliente della Popola di Ragusa insieme ai due figli. «Tutto è iniziato perché mio marito aveva messo da parte qualche risparmio – racconta – Il personale ci ha consigliato di fare questo investimento dicendoci che in qualunque momento potevamo prendere i nostri soldi. E invece nel 2017 stavamo affrontando dei lavori di ristrutturazione e non siamo riusciti a ottenere il denaro. Si sono giustificati dicendoci che era un problema di tutte le banche, consigliandoci persino di fare un prestito. Ma noi i soldi li avevamo, solo che non potevamo usarli e non lo sapevamo. Ci siamo sentiti presi in giro, perché gli impiegati erano persone conosciute e di cui ci fidavamo».
Un problema a cui si è aggiunta una necessità ancora più urgente: la salute del marito che inizia a vacillare. A quel punto i soldi alla famiglia servivano anche per fare fronte alle spese sanitarie. «Abbiamo fatto delle richieste scritte alla banca ma non abbiamo ottenuto nulla – aggiunge la cittadina -. L’unica soluzione sono i prestiti o l’aiuto di qualche parente. Recentemente mi hanno chiesto di mettere le azioni in vendita online ma non siamo riusciti a raggiungere il risultato e non è cambiato nulla. Nel frattempo mio marito ha raggiunto il 100 per cento di invalidità». Inutile pensare di chiedere aiuto ai figli già grandi: anche loro avevano investito nelle stesse azioni. «E adesso mia figlia si ritrova a dover crescere un bambina senza nemmeno poter chiedere il reddito di cittadinanza perché, per lo Stato, lei i soldi li ha. Solo che non può usarli e chissà quando e se li rivedremo».
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