I parassiti dell’Autonomia siciliana

Il movimento dei Forconi ha fatto scuola. Ieri sono scesi in piazza i sindacati, Confindustria e un’altra quindicina di associazioni di categoria dell’artigianato, dell’agricoltura, della cooperazione e del commercio. Possiamo stare certi che non ci sono state infiltrazioni mafiose, garantisce Ivan Lo Bello. Questo ‘cartello’ di organizzazioni, che – detto tra noi – non ha mai fatto gli interessi della Sicilia, ma si è sempre adagiato sulle politiche decise dalle loro rispettive centrali romane (affare Banco di Sicilia docet), si è ritrovato unito attorno alla piattaforma di rivendicazioni posto all’attenzione generale dal Movimento dei ‘Forconi’. Se i ‘Forconi’ non avessero smosso le acque, possiamo essere certi che le categorie produttive e le loro rappresentanze se ne sarebbero state buone come del resto hanno fatto per anni, prima con Cuffaro ed adesso con Lombardo. Tanto a loro interessano le spartizioni e i sussidi, dell’andamento economico della Sicilia e del suo sviluppo non gliene può fregar di meno.
Anche perché le loro organizzazioni sono mantenute in vita dai generosi contributi che la Regione siciliana elargisce loro ogni anno. Esiste poi una filosofia di base a questa strana alleanza tra soggetti che tra loro dovrebbero avere una forte dialettica negoziale: le loro rispettive organizzazioni nazionali siedono tutte nelle poltrone del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, Cnel. Questo fatto, a loro avviso, li legittima ad essere gli unici interlocutori riconosciuti nei rapporti negoziali con le pubbliche istituzioni. Con buona pace dell’Autonomia regionale si sono pure fatti fare le leggi ad hoc. Cioè hanno imposto che nella legislazione regionale che riguarda i rapporti con le categorie sociali è testualmente scritto che nelle commissioni di consultazione e di trattativa possono essere presenti soltanto i rappresentanti delle organizzazioni “…maggiormente rappresentative, firmatarie di contratti nazionali di lavoro…”.
A fronte di queste clausole legislative, che di fatto annullano la possibilità delle categorie produttive siciliane di potersi dare organismi di rappresentanza autonomi, perché a costoro sarebbe opposta qualsiasi possibilità di riconoscimento, il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, che si dichiara autonomista senza se e senza ma e magari prende a martellate le targhe della toponomastica dedicate a Giuseppe Garibaldi, cosa fa questo proposito? Nulla, sta zitto e abbozza dichiarazioni ridicole come quelle sulla popolarità acquisita dai dirigenti del Movimento dei Forconi quale motivo strategico delle lotte promosse da quel Movimento nell’interesse delle imprese siciliane.
Si potrebbe osservare che il movimento delle imprese che fa capo a Confindustria scende in piazza per rivendicare nei confronti del governo regionale una politica economica mirata agli investimenti produttivi e, segnatamente, quelli possibili con i fondi strutturali europei. Ma nel governo regionale a curare le politiche industriale non è stato messo un imprenditore che in Confindustria Sicilia riveste ruoli di primissimo piano? Quale politica industriale hanno espresso questo signore e l’intera compagine di governo? Forse il cosiddetto ‘masterplan’ di Confindustria Palermo, presentato nel corso di una recente convention e destinato a sfruttare le ultime aree residue con colate di cemento aggiuntive a quelle del ‘sacco’ di Palermo di Lima e Ciancimino? Una squallida speculazione fatta propria dalla giunta Lombardo come “priorità strategica”. Del resto, che cosa c’è da aspettarsi un governo regionale che, tramite il assessore all’Economia, Gaetano Armao (foto a destra), sponsorizza, da tempo, la realizzazione del Centro direzione, proponendo, di fatto, la ‘cementificazione’ dell’area verde di Luparello? Saremmo rimasti stupiti, insomma, se il ‘masterplan’ di Confindustria Sicilia non avesse trovato il plauso del governo Lombardo. Tra ‘cementificatori’ del territorio ci si aiuta, proprio come negli anni del ‘sacco’ di Palermo…
La domanda è: a che serve avere un industriale nel posto di assessore del governo regionale se poi nell’azione dello stesso governo non c’è nemmeno una lieve traccia di politica industriale? Dov’è la progettualità? Forse questa collocazione governativa serve solo a garantire qualche spartizione, quanto meno di potere. Con il risultato che abbiamo paventato in un nostro precedente servizio, che rappresentava la Sicilia in parallelo con la situazione greca. Parallelo che nel nostro piccolo paventavamo, ma che il professore Mario Monti ha ritenuto essere presente, tanto da porre alla base di un possibile intervento del governo nazionale a sostegno dell’economia produttiva siciliana sia l’annullamento delle partecipazioni del governo dell’Isola nelle società regionali, sia nella dimensione dell’apparato regionale pletorico me costosissimo. Apparato che incide in misura consistente nella spesa corrente, per definizione improduttiva.
Che dire sul prestigio a cui il governo Lombardo ed i suoi sostenitori hanno ridotto l’Autonomia? Se la pretesa Autonomia non è sostanziata dalla capacità della Sicilia di avere un’economia produttiva in proprio, capace di produrre valore aggiunto e ricchezza per via autonoma, quando si deve ricorrere ad altri per potere avere liquidità finanziaria, le condizioni degli interventi li pongono, giustamente, costoro. Semmai, la domanda, a questo proposito, è un’altra: lo sanno gli autorevoli economisti e gli altrettanto autorevoli giuristi che stanno nel governo regionale che le cose al mondo vanno così? Non ci rivolgiamo al presidente perché egli professionalmente non ha queste competenze e politicamente, nei confronti dell’attuale governo, gode di poco appeal, quindi ha peso specifico praticamente nullo e quindi il suo credito negoziale è uguale azero.
A presidente Lombardo e all’assessore dell’economia e del Bilancio vogliamo porre un’altra domanda. Questa domanda riguarda un argomento che, se affrontato con serietà, concorrerebbe non poco a ridare credibilità alla Sicilia e all’istituto autonomistico. Eccola: ritiene, il governo regionale, a partire dalla prossima sessione di bilancio, di presentare un disegno di legge per promuovere la riduzione della spesa corrente dall’80 per cento attuale delle entrate ordinarie al 50 per cento entro i prossimi cinque anni e recuperare in questo modo un 30 per cento delle entrate ordinarie, trasferendo queste somme dalla spesa improduttiva alla spesa per investimenti?
Sappiamo bene che questa domanda rischia di risultare retorica per la ragione che non sarà presa nemmeno in considerazione, perché per il governo Lombardo sarebbe come tagliarsi… l’erba sotto i piedi. Tuttavia riteniamo utile porla perché la pubblica opinione sappia che ha ragione chi pone condizioni rigorose per assicurare interventi di sostegno e che invece il rivendicazionismo di maniera avanzato dal governo Lombardo è di sicuro demagogico e per tutti noi semplicemente disastroso.
Come si può rivendicare alla Sicilia il diritto di avere maggiori entrate ordinarie che, come abbiamo già visto, all’80 per cento vanno in spesa corrente se poi non si è capaci di utilizzare proficuamente i fondi strutturali europei?

 

Riccardo Gueci

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