I Nebrodi dopo Antoci, investimenti su biodiversità e sentieri Ferlito: «Promozione e posti letto, legalità è un presupposto»

La fama di sceriffo non lo abbandona neanche tra i corridoi dell’ente parco dei Nebrodi. Dallo scorso febbraio Luca Ferlito, comandante del nucleo operativo del Corpo Forestale di Catania, ha lasciato il suo amato Etna e guida l’area protetta più grande della Sicilia. Uno dei territori più belli e incontaminati dell’Isola, ma anche tra i più problematici, finito negli ultimi anni al centro delle cronache anche per quella mafia dei pascoli denunciata e combattuta dal suo predecessore, Giuseppe Antoci.

Comandante, cominciamo da qui: la criminalità organizzata nei Nebrodi. Che situazione ha trovato in questi mesi?
«Io credo che sia un errore fare di tutta l’erba un fascio: i delinquenti ci sono in tutte le categorie, quindi anche tra gli allevatori, ma certamente non solo là. Chi sbaglia deve pagare, e io posso dirlo con fermezza perché nella mia carriera ho perseguito gli allevatori che hanno infranto la legge e ho sequestrato migliaia di animali. Le interdittive antimafia e il protocollo di legalità sono serviti, sono strumenti utili anche se il parco non mette a bando direttamente lotti di pascolo. Detto questo, bisogna guardare avanti». 

Toni diversi rispetto a quelli del suo predecessore Antoci.
«Io ho una visione completamente diversa dal mio predecessore. Per me la legalità è scontata, è un presupposto imprescindibile della mia attività. Non voglio farne un cavallo di battaglia e non la devo pubblicizzare. Ognuno imposta il suo percorso amministrativo come crede. Davvero, non voglio fare nessuna polemica ma preferisco concentrarmi su altro, io sono un tecnico e ritengo di conoscere in modo approfondito le tematiche che interessano le aree protette». 

Passiamo ad altro allora: il parco dei Nebrodi è un posto meraviglioso, ma fuori dalla Sicilia in pochi lo conoscono. Cosa state facendo per la promozione?
«Tantissimo, basti pensare che siamo stati eletti nel comitato esecutivo dell’Assemblea Iapa (International Alliance of Protected Areas), cioè l’elite delle grandi aree protette mondiali. L’Italia è rappresentata da noi. Questo è un grande onore, ma deve essere un punto di partenza. Per ampliare i flussi turistici internazionali siamo stati recentemente in Cina e in Russia e abbiamo stretto accordi con alcuni tour operator tedeschi che cercano un turismo a diretto contatto con la natura. E noi possiamo dargli quello che chiedono, perché il parco dei Nebrodi è integro, non ci sono grandi manomissioni né importante consumo di suolo. Abbiamo 24 Comuni ricchissimi di identità e di tradizioni millenarie e una biodiversità vegetale irripetibile nel Meridione, ma abbiamo un grande problema». 

Quale?
«Non c’è dove accogliere i turisti, mancano strutture ricettive. Servirebbe più iniziativa imprenditoriale privata. Il parco recentemente ha ripreso la gestione del rifugio Casello Muto a San Fratello che conta 54 posti letto, una grande sala ristorante e convegni (dopo un contenzioso con la cooperativa che lo ha avuto in gestione negli ultimi due anni, ndr) e contiamo di riaprirla subito, speriamo in collaborazione col Comune di San Fratello». 

Altro punto dolente è la sorveglianza del territorio, che torna a legarsi anche con la presenza di criminalità.
«Abbiamo solo 30 guardiaparco, di cui al momento dieci vengono usati per sorvegliare il rifiugio di Casello Muto. A questi si aggiungono una ventina di forestali distribuiti in vari distaccamenti, per coprire un’area grande 86mila ettari. Con l’ultima finanziaria è stata approvata una norma che prevede, su istanza degli interessati, che i guardiaparco possano svolgere il loro servizio coordinati dal comando del corpo forestale. Questo consentirebbe una migliore gestione operativa del personale e un controllo del territorio più efficace».

Chi viaggia sulle Dolomiti ha a disposizione una mappa completa di tutti i percorsi e la cartellonistica onnipresente. Chi invece decide di fare trekking nei Nebrodi rischia di perdersi, vista la carenza di informazioni.
«Se riuscissimo a mutuare dagli altoatesini la capacità di promozione delle aree protette, faremmo un grande passo avanti. Intanto abbiamo appena trasmesso all’Urega (l’ufficio regionale gare) la documentazione per un bando di gara su un progetto di riqualificazione di 64 chilometri di percorsi sulla dorsale che va da Floresta a Mistretta. Vale cinque milioni di euro e porterà alla rifunzionalizzazione del tratto Portella Mitta – Portella Femmina Morta – Serra Merio. Verranno realizzate opere di ingegneria naturalistica, sistemazione dei muretti, attraversamenti di ruscelli e piccoli torrenti, cartellonistica. Ma non vogliamo fermarci qui: serve potenziare anche i collegamenti dal mare alla dorsale, per questo contiamo di investire 1,5 milioni per i sentieri a pettine dalla costa. L’obiettivo è rendere fruibili duecento chilometri di sentieri entro il 2020».

Dalla Regione servirebbero più risorse?
«L’ultimo anno, al di là degli stipendi, abbiamo ricevuto 435mila euro. Certo, un bilancio più corposo ci consentirebbe di fare di più. Intanto una cosa di cui sono molto contento è la ripartenza della banca del germoplasma».

Di che si tratta?
«Raccogliamo germoplasma ed esemplari di diverse specie vegetali, soprattutto endemiche. Ce ne facciamo custodi e vogliamo rilanciare la biodiversità. Basti pensare che all’interno del parco ci sono 63 varietà di fagioli, molte autoctone e antiche. Ecco che la valorizzazione della banca si lega allo sviluppo dell’agricoltura, perché possiamo affidare i semi ai contadini per coltivarli. In più il parco dispone di un laboratorio per la micropropagazione mai utilizzato, vogliamo formare in tal senso i ragazzi delle scuole. Abbiamo parlato coi presidi, dal prossimo anno partiranno delle collaborazioni secondo me molto importanti in una zona con tante attività legate al vivaismo».

Il presidente Nello Musumeci l’ha voluta alla guida del parco dei Nebrodi per succedere ad Antoci. Di lei si fida, si può dire che siete amici.
«Il nostro rapporto nasce molto tempo fa e credo che la stima sia reciproca. Abbiamo un rapporto schietto, sincero, nato sul campo. Abbiamo lavorato braccio a braccio nell’emergenza vulcanica dell’Etna nel 2001-2002 quando lui era presidente della provincia e poi commissario per la ricostruzione».

Ecco, l’Etna. Non è che a breve la ritroveremo sul vulcano, non solo come comandante del corpo forestale, ma come presidente del parco?
«Io vado dove mi mandano, sono un funzionario della Regione».

Salvo Catalano

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