Ha ancora senso, oggi, per un lavoratore del nostro Paese aderire alla Cisl?

IL PROBLEMA NON RIGUARDA SOLO LA QUESTIONE DELL’ARTICOLO 18, MA LA ‘FILOSOFIA’ DI QUESTA ORGANIZZAZIONE SINDACALE CHE, INVECE DI DIFENDERE I LAVORATORI, TUTELA I GOVERNI 

La mossa di Matteo Renzi di mettere tutti davanti al fatto compiuto sta dando i primi frutti. La Cisl di Raffaele Bonanni coerentemente con le sue tradizioni di sindacato governativo ha preso le distanze dalla manifestazione unitaria promossa da Susanna Camusso, sposando di fatto le posizioni del premier sull’articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori.

Raffaele Bonanni, intervenendo ad un convegno organizzato da “Insieme per il futuro”, componente politica Dem-Pop di Beppe Fioroni, ha detto a chiare lettere: “La Camusso dovrebbe astenersi a dire quel che dice, a fare quei commenti sulla Thatcher e via dicendo. Il premier è Renzi e, volenti o nolenti, ci stia simpatico o meno, è con lui che dobbiamo confrontarci”. E ha aggiunto: “Il casino di questi giorni tra PD e Cgil è solamente una faccenda di Partito, che attiene a quelli là. L’articolo 18 è ormai diventato un’ossessione”.

Nel suo crescendo – di sicuro non rossiniano, perché manca l’armonia – Bonanni ricorda le sue precedenti opinioni sull’argomento: “Nel 2001 dissi già che era una baggianata fare dell’articolo 18 una cartina di tornasole dei diritti dei lavoratori. Il problema è semmai tutelare i paria che non hanno diritti”.

I riferimenti polemici erano rivolti alle dichiarazioni di Susanna Camusso, la quale, inaugurando la nuova sede della Cgil a Milano, ha detto: ”Mi sembra che il presidente del Consiglio abbia un po’ troppo in mente il modello Thatcher”.

Il modello Thatcher, lo ricordiamo a beneficio di chi a quell’epoca non era nato, è consistito nello smantellamento dell’apparato produttivo britannico e la sua sostituzione con il potenziamento finanziario della City. Una ricetta neo liberista in piena regola, che ha eliminato la fastidiosa presenza degli operai, i quali restano presenti nel Galles e in Scozia.

Al di là delle divagazioni, restiamo sul fatto e vediamo da vicino l’articolo 18 dello ‘Statuto’ perché è illuminante. Esso recita “Fermo restando l’esperibilità delle procedure previste dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo 7, il giudice con la sentenza con cui dichiara la nullità inefficace del licenziamento ai sensi dell’articolo 2 della stessa legge, ordina al datore di lavoro il reintegro …”. La dichiarazione di nullità è dichiarata per l’assenza “di giusta causa o giustificato motivo”.

Sostanzialmente, nello Statuto viene recepita la norma di una legge in vigore già quattro anni prima ed intende affermare che in fabbrica il titolare non può esercitare il suo dominio, ma deve rispettare la personalità dei suoi addetti che non sono suoi schiavi, bensì collaboratori, senza i quali la fabbrica non funziona. E, perciò, i lavoratori devono essere rispettati come persone con la loro dignità umana e sociale. Quindi per licenziarli deve esistere un motivo valido e non l’arbitrio.

Si faccia caso a un dato, che è illuminante della filosofia che sta dietro l’ossessione dell’abrogazione dell’articolo 18. Esso riguarda la salvaguardia della dignità del singolo lavoratore licenziato, cioè il licenziamento individuale. Operazione che non ha alcuna attinenza con le questioni economiche e di mercato. Tra l’altro, perché lo Statuto dei Lavoratori non si applica nelle piccole imprese con meno di 15 dipendenti. Imprese che con le tecnologie moderne quando hanno 15 dipendenti, dal punto di vista economico e produttivo tanto piccole non sono.

Di norma l’articolo 18 riguarda le grandi imprese, le quali in condizioni di mercato difficili ricorrono a forti ridimensionamenti degli organici e non certo al licenziamento individuale. A fronte di queste verità lapalissiane non hanno alcuna legittimazione le argomentazioni secondo le quali l’impedimento arbitrario del licenziamento individuale impedisce all’impresa di fare investimenti e di assumere manodopera. Queste sì sono baggianate.

Né vale l’altra argomentazione secondo la quale occorre tutelare chi i diritti non ce li ha. La domanda a questo proposito è: perché non si garantiscono i diritti a chi non li ha, piuttosto che toglierli a chi li ha? Aspettiamo risposte credibili e non divagazioni ideologiche.

La verità della battaglia ideologica attorno all’articolo 18 è tutta politica. Le forze dell’arbitrio, nazionali e multinazionali, sono sul piede di guerra per recuperare il potere assoluto nei luoghi di lavoro e non vogliono ingombri ed impedimenti, che loro chiamano “lacci e lacciuoli”. La loro filosofia è: “Ma che vogliono questi lavoratori, comandare a casa mia?”.

Ecco, la ragione vera è ricacciare indietro la condizione civile dei lavoratori in fabbrica e riprendersi interamente il loro potere di classe, padronale e dominante.

Raffaele Bonanni questo elementare concetto di civiltà, a quanto pare, non l’ha ancora maturato.

La Cisl è nata nel 1950, a seguito della scissione pilotata dalla Cgil nel contesto della cacciata dal governo del Paese della Sinistra, socialista e comunista, per l’imposizione del Trattato di Londra del 1047 e del successivo Trattato Nato del 1949. L’operazione fu condotta da De Gasperi, segretario della Democrazia Cristiane e presidente del Consiglio, che dovette prendere le distanze e separare le componenti democristiane dalle ‘contaminazioni’ della Sinistra. Fin dalla sua nascita, quindi, la Cisl è un sindacato filogovernativo. Ma è pur vero che essa è un sindacato che dovrebbe avere la missione di difendere gli interessi dei lavoratori, piuttosto che gli orientamenti dei governi.

La Cisl storicamente ha sposato l’idea della pressione lobbista anziché di lotta dei lavoratori per il miglioramento della loro condizione. L’unica parentesi storica di sindacato di lotta la Cisl l’ha esercitata nei primi anni ’70 del secolo passato, anche perché trascinata dalle grandi lotte sociali condotte dagli studenti e dai lavoratori uniti.

Per queste sue caratteristiche di sostegno ai governi di ogni tempo, essa è largamente presente nel pubblico impiego dove la prassi lobbistica è la regola.

Anche lì, però, i lavoratori debbono stare molto attenti, perché in tempi di spending rewiew alcune certezze diventano meno sicure: vedere per credere le recenti posizioni dei sindacati delle forze dell’ordine, nonché il blocco contrattuale delle categorie del pubblico impiego. E non sappiamo dove ci può portare la politica di austerità proclamata dalla Troika. Anche qui vedere cosa è accaduto in Grecia. E cosa sta accadendo in Spagna.

Ci domandiamo: perché un lavoratore, oggi, dovrebbe aderire alla Cisl, laddove il suo segretario generale della difesa delle prerogative dei lavoratori dice che sono baggianate?

Questo è un interrogativo al quale non riusciamo a dare risposta razionale. C’è da sperare che la risposta la diano i lavoratori, in particolare quelli del pubblico impiego.

Riccardo Gueci

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