Trentaquattro anni, calabrese ma emiliano d'adozione, le sue inchieste sulla criminalità organizzata per l'Espresso hanno portato all'assegnazione del premio dedicato al fondatore dei Siciliani. Ma dietro al riconoscimento, ci sono anni passati tra difficoltà familiari e precariato
Giovanni Tizian, chi è il vincitore del premio Fava «Ero cronista precario, ora avanti per passione»
«Essere un giornalista precario ti rende vulnerabile, ricattabile. E lo dico perché ci sono passato, se ho continuato il mestiere è solo per passione». A parlare è Giovanni Tizian, cronista 34enne dell’Espresso che si occupa di criminalità organizzata, in particolare di ‘Ndrangheta. Questa sera riceverà il premio nazionale Giuseppe Fava. Tizian nell’ultimo anno ha scritto alcune inchieste di peso per il settimanale: «Ho seguito le vicende dalla val di Susa, ho parlato delle piantagioni dei clan in Campania e in Calabria. Credo che sia un buon lavoro, e da questo sia derivata la scelta di darmi il premio. Di cui sono molto felice, perché mi sento un uomo del Sud».
Nato a Reggio Calabria ma cresciuto in Emilia, Tizian ha già ricevuto un importante riconoscimento nel 2012, il premio giornalistico dedicato a Enzo Biagi per il «giornalismo di provincia». E all’inizio di quell’anno, dopo la pubblicazione a fine 2011 del suo saggio-inchiesta Gotica. ‘Ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea, gli fu assegnata una scorta. Nel 1989, inoltre, lui e la sua famiglia erano dovuti emigrare forzatamente dalla Locride a seguito dell’omicidio del padre Giuseppe, funzionario di banca che non si piegò alla volontà dei clan locali. I premi per il suo scrupoloso lavoro, ma anche la notorietà, lo hanno aiutato a superare il precariato, a scrivere altri saggi – come La nostra guerra non è mai finita, del 2013 -, e a poter lavorare sulle inchieste che oggi valgono il riconoscimento dedicato a Pippo Fava. Di contro, le sue vicende personali sono state spesso fonte di polemiche nei suoi confronti.
«So io quello che ho passato in questi anni di difficoltà – afferma Tizian -, so ancora meglio quello che vuol dire avere un padre ammazzato dalla ‘Ndrangheta. Non ho mai polemizzato con quelli che scrivono sulla mia bacheca Facebook: chi non lo gradisce non legge quello che scrivo. Non abbiamo bisogno delle giurie popolari per il giornalismo», spiega. Ricevere, a distanza di cinque anni, un altro prestigioso riconoscimento non è peraltro «una risposta a queste polemiche. In questi anni mi sono scivolate addosso come nulla fosse, le polemiche le ho proprio lasciate stare. Mi sono concentrato sul lavoro. Il premio Fava serve a valorizzare il mio lavoro», spiega.
Un lavoro che, parlando degli affari dei clan, può portare «a minacce e querele temerarie. E un giornalista se non ha i mezzi di sostentamento necessari per essere libero diventa ricattabile. E ci perde la libertà di informazione. E probabilmente – prosegue Tizian -, oggi siamo oltre al precariato, siamo allo sfruttamento, con centinaia di ragazzi pagati a cottimo pochi centesimi, senza nemmeno un contratto». Per Tizian, cresciuto e formatosi in Emilia Romagna, «le condizioni di precarietà sono le stesse da nord a sud. Io sono andato via dalla Calabria per altri motivi, il precariato l’ho fatto al nord, ma conosco tanti colleghi nella stessa condizione da Milano a Reggio Calabria alla Sicilia. Non c’è distinzione tra le varie parti d’Italia. Forse – prosegue – stiamo vivendo un cambiamento epocale nell’informazione, e i furbetti che si sono inseriti preferiscono non fare un contratto ma andare avanti a cottimo».
Se il lavoro precario è uguale in tutta Italia, ci sono però aree che più di altre si somigliano. «Catania – racconta Tizian -, mi ricorda molto Reggio Calabria, città splendide con tutte le loro contraddizioni. A Catania ho anche vissuto, e certamente mi sento più vicino all’esperienza di Pippo Fava e dei Siciliani che a quella di Enzo Biagi, giornalisticamente».
La somiglianza tre le due città del sud, però, c’è anche per motivi criminali. «Catania e Reggio Calabria hanno qualcosa di molto simile: sono entrambe un laboratorio tra poteri deviati della ‘Ndrangheta e della massoneria. Sono fatti che raramente, per Catania, sono balzati agli onori della cronaca nazionale, restando magari in quella di giornali come MeridioNews. Possiamo – prosegue -, anche continuare a nasconderci le cose, ma tra i Santapaola e i clan di Reggio Calabria e Vibo Valentia c’è una amicizia che risale agli anni ’80, che riguarda anche gli incontri pre-stragi di mafia. La procura di Reggio ci sta già lavorando. Io, se lavorassi a Catania, mi concentrerei a lavorare su questi rapporti», conclude Tizian.