Gela, da Roma solo conferma degli accordi Operai ancora ai presidi. Sindacati: «Schifati»

La montagna partorì il topolino. Dieci giorni di mobilitazione operaiauna manifestazione di migliaia di persone in città, un consiglio comunale in trasferta nella Capitale, le attenzioni dei mass media di tutta Italia. Per ottenere, al tavolo di ieri a Roma al ministero dello Sviluppo Economico, la cassa integrazione in deroga (dunque pagata dalla Regione siciliana, ma con quali soldi in assenza di un bilancio è difficile prevederlo) per tre mesi per 400 lavoratori, sblocco dei cantieri entro aprile per quanto riguarda la green refinery e la bonifica dell’ex area Isaf. Cioè niente di diverso rispetto ai tempi e alle modalità previste dal protocollo d’intesa del 6 novembre 2014.

Il presidente Rosario Crocetta si dice soddisfatto, mentre l’amministrazione comunale si mantiene guardinga. «Quello ottenuto non è un risultato congruo alla storica mobilitazione di Gela in questa battaglia – sono le parole del sindaco Domenico Messinese –, ma la vertenza purtroppo sconta dei ritardi deplorevoli accumulati irresponsabilmente dalla politica provincialotta che in questi anni non è stata capace di vincolare il governo centrale alle proprie responsabilità». Secondo Ignazio Giudice, segretario generale della Cgil di Caltanissetta, «i sindacati si dicono non più solo indignati, profondamente schifati». E insieme agli operai annunciano nuove proteste. 

Intanto i presidi rimangono, per dare un segnale forte alla politica. Erano ben altri, infatti, gli orizzonti coi quali la giunta comunale era partita per Roma. «Non più ammortizzatori sociali, ma lavoro», era lo slogan più ricorrente e condiviso, partorito dal movimento spontaneo dei lavoratori, un gruppo auto organizzato di operai che sta conducendo le proteste. I quali, dai presidi, continuano a dirsi «più arrabbiati di prima. Abbiamo preso malissimo l’esito dell’incontro a Roma – spiegano – e stiamo pensando a nuove forme di lotta, che non siano le buffonate dei consiglieri comunali», dice Franco dal Greenstream. Il riferimento è alle foto in mutande e all’incatenazione davanti al Mise che stanno circolando molto su Facebook. Criticate anche da Toni Gangarossa, esponente della commissione Lavoro interna al Pd, che tempo fa a Meridionews proponeva l’autogestione della Raffineria. «La difficoltà in cui versa la città – dice – merita sobrietà degli atteggiamenti, perché l’esibizionismo tragicomico rischia di aggiungere la beffa al danno. L’istituzione deve dotarsi di una ritualità che non può mai scadere nel ridicolo e nel superfluo».

Ci sono comunque date certe, come ad esempio la conferenza dei servizi del 18 febbraio, che dovrà rilasciare le autorizzazioni di tutti i progetti certificati positivamente. L’amministrazione esulta per la presenza del governo. «Ci vuole l’avallo della politica centrale – spiega il vicesindaco Simone Siciliano – proprio perché la chiusura della Raffineria deriva da un politica energetica nazionale. A luglio l’accordo di programma sarà siglato con tutte le coperture finanziarie regionali, nazionali e di investitori privati, possibilmente internazionali». Si fanno ormai inconciliabili le divergenze col locale meetup del Movimento cinque stelle, che invece insiste sulle bonifiche come panacea per il territorio. La consigliera grillina Virginia Farruggia scrive che le bonifiche sono «l’unico investimento per un lavoro volto alla vera riconversione di un territorio devastato dalla politica e abbandonato dallo Stato. Oggi vogliamo le bonifiche per investire domani su: agricoltura, piccola pesca, turismo, cultura e tecnologia». 

C’è chi però va ancora oltre. Come Emilio Giudice, direttore della riserva naturale del Biviere, che si trova a ridosso della Raffineria. Il quale da anni si batte per una riperimetrazione del Sito di Interesse Nazionale (oggetto di bonifica) che non riguardi più solamente il perimetro attorno allo stabilimento industriale, ma si estenda anche alle centinaia di pozzi petroliferi e alla rete di oleodotti sotterranei sparsi per la piana di Gela. «Abbiamo 800 ettari di territorio potenzialmente contaminato e mai bonificato, al massimo messo in sicurezza – dice -. Sarebbe più corretto parlare di risanamento ambientale, riprendendo quel vecchio piano del 1990 mai attuato e che si deve attualizzare. Le bonifiche finiscono per essere un contentino». 

Andrea Turco

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