«Tra novembre e dicembre 1138 lavoratori rischiano di perdere il sostegno economico». Lo dice ad un certo punto del consiglio comunale di venerdì sera il sindaco di Gela, Domenico Messinese. Di fronte a un centinaio di operai, sia dell’indotto che del diretto, che dalla giunta grillina vogliono sentire risposte. I dati li conoscono, e sono drammatici. Per alcuni la scadenza più vicina è anzi il 31 ottobre, quando a terminare saranno sia i contratti di solidarietà che la cassa integrazione.
Dalla firma del protocollo d’intesa del 6 novembre scorso, in città ci si è mossi all’insegna del «si salvi chi può». Pochi credono alla riconversione degli impianti, qualcuno insiste sulle trivellazioni, pur sapendo che anche lì i numeri di impiego sono bassi. «Il protocollo non è il futuro», ha ribadito il consigliere del Polo Civico Guido Siragusa, che pure quegli accordi li ha sempre sostenuti. «Tanto per dire, si passerà da cinque milioni di tonnellate di greggio alle 700mila della Green Refinery».
Al momento però restano la rabbia e il dramma degli operai. Che volevano riscontri certi alle loro istanze. Per questo motivo era stato convocato il consiglio monotematico. Ma, ancora una volta, sono andati via con l’amaro in bocca. Nell’immediato l’amministrazione comunale, presente con tutta la squadra assessoriale, non ha saputo indicare chi e quando dovrà garantire la copertura dei fondi per il proseguimento degli ammortizzatori sociali. «Abbiamo chiesto un incontro straordinario in prefettura a Caltanissetta – ha detto il vicesindaco Simone Siciliano – che dovrebbe tenersi la prossima settimana».
La richiesta che ha accomunato le proteste era però quella di andare finalmente oltre la mera sopravvivenza che i sussidi statali possono garantire. Anche perché neanche la Regione siciliana, nonostante le promesse del presidente Rosario Crocetta fatte al tavolo del Mise il 15 settembre scorso, può provvedere. Il lavoro, insomma, prima di ogni cosa. «Abbiamo chiesto a Eni di far partire alcuni cantieri della Green Refinery a novembre – ha spiegato Siciliano – invece che a marzo 2016, così come era previsto. Stiamo accelerando pure sulla bonifica dell’area Isaf e sulla diga foranea. Stiamo insistendo affinchè la metalmeccanica necessaria alla piattaforma Prezioso K venga realizzata con contratti in loco, per far lavorare le ditte dell’indotto. Così come vogliamo avviare cantieri in città coi 32 milioni di euro delle compensazioni».
Insomma: nonostante la bozza di accordo di programma per tirar fuori la città dalla dipendenza del cane a sei zampe (almeno nei proclami), le sorti di Gela sono ancora legate all’Eni. Quando il primo cittadino ha detto «noi all’Eni scuse non ne vogliamo dare», ha quasi ricopiato le parole di Crocetta, ribadite più volte, ovvero che «l’Eni non ha più alibi».
Poche o astratte le proposte dei consiglieri comunali presenti. Il capogruppo del Pd Giuseppe Ventura ha suggerito di utilizzare la legge sull’amianto per fare andare in prepensionamento la fascia di lavoratori tra i 50 ed i 60 anni che, più di tutti, sta subendo la crisi della Raffineria. Altri hanno paventato la possibilità di un consiglio comunale da tenere all’Ars, senza però dare indicazioni più precise. Sono state le testimonianze degli operai presenti, fatti intervenire dalla presidente del consiglio Alessandra Ascia a più riprese, a fornire un quadro più completo della situazione sempre più incandescente e insostenibile.
«Ma quali sono queste imprese pulite che dovrebbero aggiudicarsi gli appalti Eni? – ha chiesto ad esempio Franco Biundo – È dal 2010 che le imprese dell’indotto non versano neanche il Tfr, a Gela non esistono imprese sane. E neanche fuori: alcuni di noi sono andati lavorare a Viggiano a febbraio e ancora non hanno visto un euro. Così non possiamo pagare neanche le tasse». Dal dramma alla disperazione il passo è breve. «Io oggi maledico il giorno in cui sono entrato in Raffineria», ha detto un altro operaio che tra l’altro ha subito pure un’operazione alle corde vocali per vie delle condizioni di lavoro non certo facili. Gli applausi più scroscianti sono stati per lui. E per la promessa di Messinese: «Se non ci ascoltano, porteremo Gela a Roma».
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