Fornace Penna, la storia della basilica laica sul mare Il misterioso rogo, i numerosi vincoli e il rischio crollo

«Non una sola ora, non una sola lira per il Pisciotto». Con queste parole l’ingegnere Ignazio Emmolo accolse la notizia del rogo che nel gennaio del 1924 distrusse la Fornace Penna di Scicli. L’anatema dell’ingegnere sembra riecheggiare ancora tra le pietre del Pisciotto che a più di novant’anni dall’incendio rischia il crollo senza che nessuno impegni una lira per la sua salvaguardia.

La Fornace Penna, oggi nota come la Mannara del telefilm Il Commissario Montalbano, è un interessante rudere di archeologia industriale tra i più affascinanti della Sicilia. La fabbrica fu voluta dal barone Guglielmo Penna, che insieme ad alcuni nobili della famiglia e all’ingegner Emmolo, decise di costruire la sua industria di laterizi sul fondo di contrada Pisciotto, a due passi dal mare e dalla spiaggia di Sampieri, a Scicli.

Finita di costruire nel 1912, la Fornace somiglia più ad una cattedrale che ad una fabbrica di mattoni, tanto che Vittorio Sgarbi la definì «una basilica laica in riva al mare». L’eccellente lavoro dell’ingegner Emmolo rendeva la fabbrica una delle più avanzate del tempo. Una volta a pieno regime la Fornace dava lavoro a cento giovani operai e con le sue tegole e mattoni contribuì alla ricostruzione di Tripoli dopo la guerra in Libia. La sua storia attraversa anche i tormentati anni della prima guerra mondiale, quando a causa della guerra sottomarina nel Canale di Sicilia dovette interrompere la produzione fino al 1919.

La grande storia imprenditoriale dello stabilimento del Pisciotto si concluse nel 1924 quando un incendio la distrusse. Sulla natura dolosa del rogo ci sono pochi dubbi, l’incendio divampò a gennaio, mese in cui la fabbrica era chiusa. Vano fu il tentativo dei marinai e degli agricoltori che tentarono di spegnerlo, della vecchia Fornace rimasero solo le mura in pietra. Secondo voci popolari il movente dell’incendio era politico e attribuibile a volte ai socialisti altri ai fascisti, un’altra storia popolare racconta di uomini venuti via mare da un centro di produzione di laterizi di Spadafora, comune del Messinese, che fermarono così un grande concorrente. Più probabilmente l’incendio fu appiccato da un nemico del barone Penna che quando dalla sua villa vide il fumo dell’incendio amaramente esclamò: «Hanno tolto il pane a tanti operai, a me non hanno tolto nulla».

Da quel giorno la Fornace Penna giace a due passi dal mare perdendo pezzo dopo pezzo, mentre proprietari, cittadini e amministratori discutono del suo destino tra conferenze di servizio, manifestazioni e progetti di valorizzazione. In molti ricordano ancora l’idea di trasformarlo in albergo di lusso. Nel 2003 la baronessa Angela Penna, moglie del barone Francesco Penna, raccontò della volontà della famiglia di dare seguito al progetto del marito che negli anni ‘80 aveva sognato un nuova vita per la Fornace. L’Hotel Barone di Portosalvo sarebbe costato 15 milioni di euro e nella recuperata fabbrica avrebbe ospitato cento stanze.

L’idea affascina alcuni ma trova l’opposizione di molti. Il progetto non viene approvato e fallisce ogni mediazione tra amministrazioni e proprietari. Gli anni seguenti saranno caratterizzati da un braccio di ferro che bloccherà ogni iniziativa. Nel 2005 la Soprintendenza ai Beni Culturali stanzia 500mila euro come contributo ai proprietari che avrebbero dovuto metterla in sicurezza, ma della piccola somma solo la metà verrà spesa senza nessun impegno da parte degli eredi. Tre anni dopo, nel 2008, la Sovrintendenza pone il vincolo monumentale sulla Fornace e torna a chiedere ai proprietari di intervenire. L’anno dopo sarà l’amministrazione comunale a ordinare la messa in sicurezza per scongiurare crolli ma gli eredi si oppongono ricorrendo al Tar. Nonostante l’attivismo di molte associazioni locali, gli appelli del Fai e del WWF, il pubblico non può intervenire perché il bene è privato. 

Intanto i vincoli sulla Fornace Penna aumentano, a quello monumentale si aggiungono quello di tutela della fascia costiera, un vincolo paesaggistico e uno sull’immodificabilità dei luoghi, un altro in quanto bene culturale di archeologia industriale e uno perché luogo dell’identità e della memoria. Nonostante sia diventato uno dei luoghi più vincolati d’Italia nessuno interviene.

Nel 2014 l’allora ministro dell’ambiente Gianluca Galletti fa visita alla Fornace del Pisciotto impegnandosi a far arrivare la questione sul tavolo del governo. Anche questo sarà un passaggio a vuoto. Nel luglio del 2015 è il prefetto di Ragusa a mettere attorno ad un tavolo la Sovrintendenza, l’amministrazione comunale, i proprietari e i rappresentanti delle associazioni dei cittadini. Si ribadisce la necessità di interventi rapidi che però non vengono seguiti dai fatti.

Ancora una volta le parole si perdono nel vento che sferza la Fornace finché qualche giorno fa i carabinieri sequestrano la fabbrica e il tribunale di Ragusa mette sotto indagine 21 persone. Ai proprietari vengono contestati i reati di «danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale» e di «omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina». Un nuovo capitolo di una storia lunga 92 anni che non vede ancora lo sperato epilogo, la messa in sicurezza e la valorizzazione della Fornace Penna. Intanto, l’imponente fabbrica continua ad affascinare i locali e i tanti visitatori che scoprono questa bene culturale in riva al mare. Tra un foto e un appello per salvarla risuonano ancora le parole dell’ingegner Emmolo: «Non una sola ora, non una sola lira per il Pisciotto».

Roberto Sammito

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