Le condizioni minime di igiene sul lavoro all’interno dell’edificio 2 della Cittadella universitaria di Catania non erano rispettate. Almeno fino al 2005. Questa la conclusione dell’interrogatorio di Bruno Catara, uno dei testi più attesi nel processo per disastro ambientale e gestione di discarica non autorizzata all’interno dell’ex facoltà di Farmacia di Catania. Direttore del Nucleo chimico mediterraneo, è stato il primo ad effettuare rilievi ed analisi per accertare lo stato di salubrità di laboratori e aule dopo le numerose segnalazioni di odori e malesseri già nel 2000.
«Esisteva un rischio?», chiede Enrico Trantino, legale di Fulvio La Pergola. La risposta, sulla base delle indicazioni provenienti dalle analisi del Nucleo, è che «non si poteva presumere» un pericolo. I rilievi vengono realizzati con campionatore passivo (attraverso bottoni assorbenti da far indossare a quanti si trovavano dentro l’edificio) e attivo (con l’aspirazione di aria). Normale metodologia clinica di screening, sostiene il chimico. In un primissimo momento viene riferita all’allora direttore Ennio Bousquet la presenza di qualche anomalia, in seguito ridimensionata – «qualche “picchetto”» – dallo stesso Bruno Catara. «Non si è evidenziato nulla di particolare dal punto di vista analitico», dice.
La relazione da lui consegnata ai vertici del dipartimento della facoltà nel 2004 esclude la presenza di sostanze che possano essere direttamente collegate ad un rischio per quanti si trovano all’interno dei locali; eppure, nonostante la premessa incoraggiante, vengono elencate una serie di misure ritenute «indispensabili», «immediate» e «indifferibili». Anche il presidente del collegio, Ignazia Barbarino, conviene con il pm Lucio Setola: non una situazione in regola. Catara risponde che si tratta di indicazioni di suggerimenti circa la normale prassi di igiene sui luoghi di lavoro ma che – nonostante le analisi e i rilevamenti effettuati dalla sua azienda – non c’erano motivi per confermare un’ipotesi di contaminazione.
Eppure, qualche mese dopo l’ultimo rapporto del Nucleo chimico mediterraneo, viene convocata in maniera urgente un’altra ditta, la milanese It group che lavora nel campo della bonifica di grossi siti industriali. Più della metà dei suoi clienti sono grossi gruppi petrolchimici. L’allora amministratore unico, Maurizio Gambera, è un ex collega universitario del fratello di un altro degli imputati, Paolo Bonina. I due si incontrano casualmente in aereo e, dopo un colloquio su quanto accadeva nell’edificio 2, in maniera del tutto gratuita Gambera, visto il suo soggiorno a Catania, si offre di fare un sopralluogo. L’uomo è ancora all’interno dell’azienda lombarda, ma in un momento particolare di passaggio di consegne verso uno dei teste sentiti qualche mese fa, Domenico Prestia. Dal 2007 Gambera interrompe qualsiasi rapporto con la sua ex azienda e con l’Università di Catania.
L’inizio dell’estate del 2005 è un periodo delicatissimo: Emanuele Patanè – il dottorando che ha lasciato il memoriale che sta alla base del procedimento – è morto da un anno e mezzo. Prima di lui, nel maggio 2002, è entrata in coma e deceduta la ricercatrice Maria Concetta Sarvà. Altre cinque persone sono affette da varie forme di tumore e un’altra ricercatrice ha subito un aborto al sesto mese di gravidanza. Quando viene convocata la It group Agata Annino è morta da pochi giorni. Paolo Bonina (docente e membro della commissione sicurezza), così come gli altri docenti incontrati, riportano le lamentele provenienti un po’ da tutte le parti e qualche voce la percepisce anche Gambera. «C’era qualche problematica a seguito di questi odori», spiega. Dopo la prima visita informale, ne segue un’altra nella quale è presente un altro membro della It, l’ingegnere Elisa Neri. Si realizza dunque un piano di lavori strutturato in due momenti: accertamento del potenziale inquinamento e messa in sicurezza. Un piano articolato che prevedeva anche dei carotaggi, esclusi – come ha lasciato intendere Neri – su volontà del committente. Ma sui motivi che hanno portato alla decisione, Gambera come gli altri dipendenti dell’azienda non hanno potuto fornire una spiegazione.
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