Elezioni del Rettore: la politica faccia un passo indietro

Sarebbe sbagliato interpretare le tattiche elettorali per il rinnovo della carica di rettore dell’università di Catania soltanto come il tradizionale intreccio di macchinazioni e alchimie che sempre hanno accompagnato l’autogoverno accademico; un piccolo mondo che ha regole sue, il più delle volte incomprensibili per gli osservatori esterni. Il ginepraio di fedeltà gerarchiche, “tradimenti”, umane ambizioni non manca. Eppure siamo dinanzi a un passaggio di una certa importanza, che deve riguardare la pubblica opinione.
 
Il nostro antico ateneo soffre. Soffre, innanzi tutto, dei suoi stessi successi: l’incremento degli iscritti e l’accrescimento delle funzioni didattiche che hanno fatto scivolare in secondo piano l’attività di ricerca. L’intera università italiana ha dovuto subire una riforma “europea” degli studi, inevitabile ma pasticciata; la cui applicazione è stata peggiorata a livello locale con l’aumento sconsiderato dei corsi di laurea, l’eccessiva frammentazione degli insegnamenti, la moltiplicazione degli esami, col risultato di un generale scadimento della qualità degli studi a cui non corrisponde neppure una riduzione degli studenti fuoricorso.
 
L’università di Catania, in particolare,  soffre a causa della stretta finanziaria che soffoca gli atenei; una condizione dovuta alle politiche dei governi, ma aggravata dal fatto che tali risorse sono state ripartite in maniera iniqua tra le diverse facoltà, creando le condizioni per una valutazione nazionale negativa destinata a farci perdere peso nel sistema nazionale. Soffre anche a causa dell’eccessivo invecchiamento del corpo docente, perché è mancato un chiaro indirizzo a investire in modo prioritario nel ricambio generazionale. Soffre perché l’attivazione di nuovi poli universitari in molti centri del Sud Est siciliano è avvenuta in maniera quasi incontrollata, rispondendo a spinte campanilistiche e incoraggiando la chimera del proliferare di nuovi atenei, inevitabilmente di serie B. Soffre perché negli ultimi anni la guida dell’ateneo è stata posta in modo troppo diretto all’ombra di interessi politico-partitici.
 
Il voto del 21 settembre, penalizzando chi si poneva in linea di continuità con la precedente gestione, va letto come un tentativo di reagire. Si tratta di vedere se all’insoddisfazione farà seguito un’adeguata capacità di programmazione. Perciò sarebbe auspicabile che la politica locale facesse un passo indietro, lasciando al mondo accademico, coi suoi molti vizi e virtù,  la ricerca del Massimo Comune Denominatore per dare al vecchio Siculorum Gymnasium una guida rinnovata che sia anche il Minimo Comune Multiplo per lo sviluppo dell’ateneo. E ciò nella speranza che chi ha prospettato che “un’altra università è possibile” – slogan indubbiamente suggestivo – porti avanti fino in fondo, quali che siano le alleanze, tutti i punti del suo programma di alternativa.

Luciano Granozzi

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