Di maccheroni e di gabbiani ipotetici Bravo Catania (ma senza fare polpette)

Se c’è un pensatore che ho sempre stimato, questo è Gionatha Spinesi. Lo stimavo già diversi anni fa, quando, come avrebbe detto Osvaldo Soriano, era ancora negli anni giusti per pensare con i piedi. Lo stimavo perché per me rappresentava la capacità di adattarsi perfettamente alla situazione, di agire dialetticamente nel contesto delle forze reali, di superare ogni apparente dicotomia tra dover essere ed essere. In altre parole, perché – pur toccando pochissimo la palla fuori dall’area di rigore, non sfiatandosi troppo nella corsa e partecipando di rado alla costruzione della manovra – possedeva un innato sapere che gli permetteva di trovarsi sempre lì, in mezzo all’area, dopo avere eluso in silenzio la guardia dei marcatori, nella posizione più logica per spingere la palla in rete. Lo stimavo, insomma, perché dava l’impressione di capire a fondo l’immanente razionalità del calcio – posto che il calcio sia Logos, cosa questa assai discussa – e la sapeva sfruttare senza fronzoli, senza compiacimenti decorativi. Come peraltro era logico in chi non possedesse il talento artistico, per dire, di un Mascara o di un Barrientos.

Ho continuato a stimarlo, il nostro Gionatha, quand’è passato da quest’altra parte della recinzione, a seguire il Catania dagli spalti e a discuterne da dietro una tastiera. E l’ho stimato e stimo tuttora sia per quel che diceva, sia per il semplice fatto che lo dicesse: per il fatto, cioè, di aver continuato a vestire questa maglia facendola sua più di ogni altra. A dispetto del suo essere pisano e, aggiungerei, anche del fatto che la società, nel congedarsi da lui, avrebbe secondo me potuto dimostrarsi più affettuosa.

La settimana scorsa m’è però avvenuto, forse per la prima volta, di dissentire da Spinesi. Perché mentre io, dopo la vittoria sul Trapani, mi annoveravo tra quanti tiravano un sospiro di sollievo per aver lasciato il terzultimo posto e aggiungevano che, per quest’anno, mi basterebbe consolidare questo risultato, lui era invece diventato il capofila degli ottimisti che reputano ancora possibile aprire il discorso sui play off. Una parola, lo confesso, che mi induce alle più ineleganti pratiche apotropaiche.

Ovvio: una parte di me sarebbe ben lieta se, in questo dissentire da Spinesi, il torto fosse mio e la ragione del mio pensatore preferito. E ammetto che oggi, già tra il primo e il secondo tempo della partita di Latina, la summenzionata porzione della mia persona si è ritrovata per un attimo a masticare sogni improbabili, a svolazzare sulle ali del desiderio, come un gabbiano incerto e ipotetico. E ciò per il semplice fatto che avevamo chiuso il primo tempo in vantaggio grazie a un gol di Maniero: all’unica occasione trasformata tra le cinque – almeno – capitate al numero sette rossazzurro.

Poi, però, sono tornato a toccare terra. È successo al momento del pareggio del Latina. Quando realisticamente mi sono chiesto quanti gol avremmo potuto segnare, nei primi quarantacinque minuti, se al posto del bravo, mobile, generoso ma non sempre produttivo Maniero avessimo potuto schierare un attaccante di quelli che, quand’occorre, sanno essere davvero bastardi dentro (che nel calcio è indubbiamente una qualità). Se avessimo avuto ancora, per dire, un Gionatha Spinesi.

Infine è arrivato il gol di Sciaudone: il primo in rossazzurro di questo ragazzo e, per nostra fortuna, l’ultimo della partita di oggi. Un gol che ci ha regalato la quarta vittoria consecutiva. E che ci ha portati di nuovo a galleggiare in questa piacevole bolla fatta di soddisfazione, di sollievo e perfino di una punta di insolita esaltazione.

E però, passata qualche ora, mi pare ancora il caso di tornare coi piedi per terra. Considerando che manca una partita per chiudere questa giornata, ci troveremo domani sera (comunque questa partita vada a finire) con tre punti di margine sul quintultimo posto (che significa spareggio per non retrocedere). E con un confortante elenco di dieci squadre alle nostre spalle. Ma ci troveremmo ancora qualche punto sotto quota salvezza, tradizionalmente stimata intorno ai cinquanta punti (noi ne abbiamo quarantaquattro). Permettendomi di insistere nel dissenso verso Spinesi, io penserei a questo, solo a questo. Evitando, come ci insegna la saggezza popolare, di fari puppetti. Pensando invece ai maccheroni. Che sono i soli, si sa, a riempire la pancia.

Claudio Spagnolo

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