Covid-19, viaggio ai confini della zona rossa di Troina «Stessa mascherina da venti giorni ma ce la faremo»

«Un terzo sono positivi? Così superiamo i centoventi». Quando arriva la notizia sui risultati di
nuovi tamponi, soltanto una parte dei responsi che ancora si attendono, l’aria a Troina è fredda. Nonostante si sia già in aprile, è come se l’inverno non avesse lasciato la cittadina ennese. E in effetti da queste parti più che altrove, da oltre una decina di giorni il tempo è sospeso: era il 19 marzo quando i primi quattro casi di Covid-19 sono stati accertati all’interno dell’Oasi, la struttura sanitaria d’eccellenza per l’assistenza ai disabili. Da quel momento a crescere sono stati i numeri, la preoccupazione e il silenzio. Fino alla decisione di istituire la zona rossa.  

«Le strade sono deserte, tutti hanno capito che la situazione è delicata e bisogna uscire soltanto quando non se ne può fare a meno».
Angelo Impellizzeri è uno di quelli che non può farne a meno. Ex consigliere comunale, dal 2018 è presidente dell’Azienda speciale silvo-pastorale, la società in house del Comune di Troina che gestisce migliaia di ettari di boschi. «Abbiamo gli asinelli della legalità e i cavalli sanfratellani da accudire – spiega -. Questa emergenza inevitabilmente causa problemi anche alla gestione dell’azienda. Non è semplice perché bisogna pensare a limitare i contatti che si possono avere. Pensavamo nei prossimi giorni di iniziare la transumanza, ma probabilmente dobbiamo rimanere a valle e non li potremo portare nei boschi dove avrebbero foraggio a costo zero».

Il check-point sulla statale 575 è uno dei tanti punti di controllo installati lungo le vie di accesso al paese. A poterlo superare sono in pochi, bisogna avere un motivo realmente valido. Passa un
trattore per andare in un’azienda agricola a poche centinaia di metri, poi un’anziana alla guida di un’utilitaria nel cui sedile posteriore lato passeggero – il modo migliore per aumentare la distanza – c’è il marito. Devono andare a Catania, per una visita medica non rinviabile. «Stiamo facendo il massimo assicurando le forniture di alimenti a chi non può lasciare casa perché in quarantena – spiega il responsabile della Protezione civile comunale Alessandro Nasca -. Finora, fortunatamente, i contagi sono stati limitati alle strutture sanitarie, la popolazione sta rispondendo bene agli inviti alla cautela». Un problema, però, restano i dispositivi di protezione individuale, specialmente per chi è in prima linea. «Abbiamo provato a contattare le aziende produttrici, ma si ha difficoltà a farle arrivare perché è un problema diffuso in tutto il Paese. Da quanto tempo uso questa mascherina? Da venti giorni, ogni sera la disinfetto», ammette Nasca.

«È come se avessero percepito il momento particolare,
ma loro hanno sempre il sorriso sulle labbra, la voglia di sorridere». A parlare è Donatella Greco, medica all’Oasi e una delle tante persone che da giorni vive a contatto con il focolaio di Covid. Finora sono stati 135 i contagi, tra pazienti e personali. Tra i primi – uomini e donne di età diverse e affette da disabilità cognitive – due non ce l’hanno fatta. Prendersi cura di loro in questi giorni è un impegno che richiede ancora più attenzione. «Hanno sempre voglia di essere abbracciati, di un contatto fisico. Non è semplice far capire loro che per adesso non si può, che bisogna farne a meno per il bene di tutti», continua la dottoressa. Lavorare all’Oasi oggi significa per molti rinunciare a tornare a casa. «Chi ha famiglia vive in una struttura dell’azienda per evitare di contagiare i parenti – racconta Greco -. E così è lì che ci si riposa, quando si può farlo. Paura? È normale che ci sia, ma cerchiamo di prendere tutti gli accorgimenti utili. Finora il mio tampone è stato negativo, spero continui a essero così da poter aiutare i nostri ragazzi e aiutare i colleghi».

Chi invece un tampone attende ancora di farlo, nonostante abbia la quasi certezza di essere positivo al Covid-19, è il
sindaco di Troina Fabio Venezia. Da alcuni giorni vive isolato in casa, a causa della comparsa di contagi compatibili con l’infezione da coronavirus che lo hanno costretto a casa. «Sto seguendo la terapia e fortunatamente non ho più febbre, ma i dolori in tutto il corpo persistono», dice al telefono. Dalla voce emerge tutta la fatica di questi giorni. «Come ho già detto finché avrò forza andrò avanti, è il mio dovere – continua -. Fortunatamente posso contare su una squadra di collaboratori che sta dando il massimo. Ai miei cittadini dico di farsi coraggio perché è un popolo abituato ai sacrifici e nella sua storia ha sempre trovato la forza di rialzarsi. E anche questa volta – conclude – lo dimostrerà». 

Dario De Luca

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