Cronaca

Simona Floridia, come si è arrivati alla condanna per omicidio a trent’anni dalla scomparsa

Ci sono voluti più di trent’anni per arrivare a mettere un primo punto nella vicenda di Simona Floridia. Oggi, il 49enne Andrea Bellia è stato condannato a 21 anni di carcere per l’omicidio aggravato dai futili motivi – mentre è caduta l’aggrevante della premeditazione – della 17enne scomparsa da Caltagirone (in provincia di Catania) il 16 settembre del 1992 senza che il suo corpo sia mai stato ritrovato. Una sentenza, arrivata dalla prima sezione della Corte d’Assise di Catania dopo più di quattro ore di camera di consiglio, di cui per conoscere le motivazioni si dovranno ancora aspettare novanta giorni. L’avvocata Pilar Castiglia, che insieme al collega Antonio Ingroia difende l’imputato che si è sempre dichiarato innocente, ha già annunciato che farà appello. Per il proprio assistito, infatti, i legali avevano chiesto l’assoluzione sostenendo che per il delitto non ci sarebbe un movente. L’avvocato Giuseppe Fiorito, che dal primo momento assiste i genitori di Simona che non si sono mai arresi e hanno continuato a cercare verità e giustizia costituendosi anche parte civile nel processo, per Bellia aveva invece chiesto la pena dell’ergastolo. Ventiquattro erano stati gli anni di condanna richiesti dalla procura alla fine di una lunga requisitoria da parte delle pm Samuela Lo Martire e Natalia Carozzo che avevano anche sottolineato «un atteggiamento di chiusura e ostilità» da parte dell’imputato.

L’intercettazione che ha fatto riaprire il caso

Dall’archiviazione del primo fascicolo alla riapertura del processo ci sono voluti 26 anni. Il punto di svolta è stata una conversazione telefonica intercettata e registrata, che era avvenuta nel pomeriggio del 16 settembre del 1993. Un anno dopo che della 17enne si era persa ogni traccia. Protagonisti di quel dialogo sono Mario Licciardi – ex fidanzato di Simona Floridia e amico dell’imputato – e Rossella Figura, che all’epoca era la sua ragazza e che oggi è sua moglie. In quella conversazione, emersa dalla rilettura degli atti del procedimento che era stato archiviato, Licciardi racconta alla donna di avere ricevuto da Bellia la confessione che a fare sparire la giovane era stato lui. «Indovina chi è venuto oggi al lavoro?», chiede lui. «Andrea», risponde la ragazza senza titubanze. Il motivo per cui l’amico va a trovarlo sarebbe chiedergli di riconoscere davanti ai giornalisti della trasmissione Rai Chi l’ha visto? la voce della giovane scomparsa. «Io gli ho risposto: “Ma che spacchio vuoi? Non mi dovete cercare. Non mi interessa niente». A questo punto la ragazza dà una risposta che lascia presupporre che l’argomento non fosse nuovo: «Ancora vengono a rompere l’anima? Ma lui com’è cretino che ti chiede di riconoscere la voce di Simona Floridia?». A questo punto, Licciardi aggiunge: «E poi mi voleva dire il fatto che l’aveva ammazzata luiQuella gran minchiata…Mi ha detto: “È inutile che cercano e che fanno”». Ed è su quella parola tipicamente siciliana che si era concentrata l’attenzione dell’avvocato Fiorito: «Minchiata ha un duplice significato: può voler dire una fesseria ma anche un fatto veramente grave». Per la difesa si sarebbe trattato di «una conversazione scherzosa». La tesi portata avanti dell’accusa è che Bellia – all’epoca ufficialmente fidanzato con Simona Regolo, storica amica di Simona Floridia, che al processo è stata la testa che ha detto più «non ricordo» – avesse una relazione sentimentale clandestina con Figura, la ragazza del suo amico. E che la vittima lo avesse scoperto e non fosse intenzionata a tenerlo per sé. Incroci di rapporti interpersonali che sono stati al centro di molte udienze.

Il confronto tra l’imputato e l’accusatore

«Un confronto tra due verità distinte». Così il presidente della corte Sebastiano Mignemi ha definito il faccia a faccia che c’è stato in aula tra Andrea Bellia e Mario Licciardi. Seduti uno di fronte all’altro nell’aula del tribunale di Catania, i due hanno tenuto posizioni opposte sui due episodi cruciali: la visita in ospedale di Licciardi a Bellia – ricoverato dopo un incidente in moto – e l’episodio a Monte San Giorgio, il luogo dove Bellia avrebbe detto di avere fatto sparire Simona Floridia. Per l’imputato nessuno dei due fatti raccontati dal testimone si sarebbe mai verificato. «Devi avere il coraggio di guardarmi negli occhi», aveva detto Bellia all’ormai ex amico che, in effetti, lo aveva fatto per tutto il tempo. «Io ho sempre detto la santissima verità – aveva risposto Licciardi – Anche tu dovresti avere il coraggio di farlo ormai dopo tutto questo tempo». Una verità che, stando alla sentenza emessa oggi, sarebbe stata quella ritenuta più vera dalla corte.

Dai tentativi di depistaggio all’esclusione delle piste alternative

Telefonate anonime e presunti avvisamenti. «In questa vicenda – aveva affermato l’avvocato di parte civile – c’è stata una serie di depistaggi per provare a dimostrare che Simona era viva quando non lo era più». Una chiamata anonima era arrivata a casa di Simona Regolo che, spaventata, aveva subito riagganciato. Due erano state le telefonate ai centralini di Chi l’ha visto?, il programma che si stava occupando del caso della scomparsa della giovane. Anche in questo caso, qualcuno aveva finto di essere Simona Floridia. Che non fosse la sua voce, però, è stato accertato anche nel corso delle indagini. Pure l’amica Saveria Tumino aveva ricevuto lo stesso tipo di chiamate anonime: il telefono era sotto controllo e, dalle verifiche, è emerso che provenivano dalla fidanzata del suo ex ragazzo. Numerose sono state poi le segnalazioni di avvistamento di Floridia arrivate da ogni parte dell’Italia. Tutte si sono poi rivelate false. Nel corso degli anni, molte piste sono percorse: l’ipotesi di un allontanamento volontario, le piste familiari a partire dall’ex amante del padre di Floridia, le indagini sul cerchio di amicizie – un fidanzato violento di un’amica che non la vedeva di buon occhio e anche Licciardi stesso che, però, all’epoca era in servizio militare a Messina – fino ad arrivare alle sette religiose perché Simona aveva l’hobby della cartomanzia e proprio per qualche giorno dopo la scomparsa, aveva preso un appuntamento con una cartomante di Licata, in provincia di Agrigento.

Marta Silvestre

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