In tempi di crisi occorre diversificare gli interessi. E il settore ittico era troppo remunerativo per sfuggire agli appetiti della mafia. Chi non voleva sottomettersi andava eliminato dalla piazza. E ai pescivendoli veniva imposta persino l’ampiezza dei punti vendita. Guarda il video
Blitz Panta Rei, dagli appalti al mercato del pesce Le mani di Cosa nostra sull’economia di Palermo
Non solo droga ed estorsioni. In tempi di crisi occorre diversificare gli interessi. Lo sapevano bene i boss di Porta nuova, che avevano messo le mani anche sul mercato del pesce. Un settore troppo remunerativo per sfuggire agli appetiti della mafia, che sul comparto esercitava un controllo asfissiante e capillare. Chi non voleva sottomettersi alle regole di Cosa nostra doveva essere eliminato dalla piazza. «Gli dici che senza ordine di … non possiamo caricare nessuno nei nostri camion…gli dici che finisce la giornata e lo mandi a casa, altrimenti vengo e vi metto mani a tutti e due e vediamo se la dobbiamo finire…lo prendo e lo scanno qua…» dicevano i boss intercettati dai carabinieri del Comando provinciale di Palermo, che stamani all’alba hanno eseguito 37 fermi. Un nuovo colpo ai mandamenti di Porta Nuova dopo l’operazione Iago (aprile del 2014) e di Bagheria, già fiaccata dai blitz Reset (giugno 2014) e Reset 2 (novembre 2015).
Le regole del gioco erano chiare. Sul mercato potevano rimanere solo le imprese di Cosa nostra e per eliminare la concorrenza era lecito ricorrere alla violenza. Ai pescivendoli veniva imposto non solo dove rifornirsi di prodotti ittici, ma persino l’ampiezza dei punti vendita. «Il settore ittico, che costituisce un’importante voce dell’economia palermitana – dicono gli investigatori – è risultato essere vittima di questo illecito e pervasivo sistema». Un sistema che violava tutte le regole del libero mercato.
Le indagini hanno documentato ancora una volta un controllo del territorio pervasivo. Realizzato con gli strumenti tradizionali. Primo tra tutti il pizzo. Sono 18 le estorsioni consumate e 9 quelle tentate documentate dai carabinieri ai danni di commercianti e imprenditori edili. Per gli appalti la somma da versare nelle casse di Cosa nostra era pari al 3 per cento del valore dell’appalto. «L’attività estorsiva – spiegano dal Comando provinciale dei carabinieri di Palermo – continua a essere non solo lo strumento attraverso il quale la mafia esercita il controllo del territorio, ma anche la forma di sostentamento primario per i boss».
«Gli arresti di oggi dimostrano – spiega il tenente colonnello Salvatore Altavilla, comandante del Reparto operativo dei carabinieri – come l’economia palermitana sia condizionata da Cosa nostra. Gli operatori economici hanno collaborato, denunciando, in cinque o sei casi, o ammettendo il ricatto mafioso una volta contattati». «Abbiamo registrato significative collaborazioni – spiega il comandante del Comando provinciale di Palermo, colonnello Giuseppe De Riggi – anche in zone città come Borgo Vecchio, che è un’enclave storica di Cosa nostra. Una città dentro la città».
Le indagini hanno permesso di accertare «un totale controllo» del settore ittico. Tutto passava sotto la supervisione di Cosa nostra. A cui dovevano sottostare persino i fornitori del Veneto. «Abbiamo ascoltato un imprenditore veneto dire al telefono: “Non capisco, ma come ragionate in Sicilia?” – racconta De Riggi -. Il fornitore è stato costretto ad abbandonare il suo partner commerciale in Sicilia perché si era imposta un’azienda di Cosa nostra». Nell’ambito del blitz antimafia tre società sono state sequestrate. Si tratta di Frescogel, in via Tiro a Segno, riconducibile, secondo gli investigatori, a Giuseppe Ruggeri, 39 anni, finito in manette nell’ambito del blitz Panta Rei (accusato di illecita concorrenza con violenza e minacce), genero di Lauricella. Sigilli anche a Wordfish in via Cappuccinelle e la Boutique del pesce alla Zisa.
Un fiume di denaro da reinvestire in lucrosi affari. Primo tra tutti lo spaccio di droga, «collettore degli interessi di tutte le famiglie mafiose» e, al tempo stesso, fonte di accese e continue tensioni tra gli uomini d’onore. Un ritorno alle origini, quando proprio dal traffico di sostanze stupefacenti i vecchi padrini traevano profitti, utili ad assicurare il sostentamento dei detenuti, il pagamento degli affiliati e gli altri investimenti di Cosa nostra. La droga arrivava sulle piazze di Palermo dalla Campania e dal Sudamerica, in particolare dall’Argentina, e durante le indagini, condotte anche all’estero, sono stati sequestrati dieci chili di cocaina. «È stato documentato – dicono ora gli investigatori dell’Arma – che il settore degli stupefacenti riveste per Cosa nostra un’importanza fondamentale, imprescindibile nelle dinamiche criminali».
Ma le indagini culminate nei fermi di oggi hanno anche documentato il ruolo centrale rivestito dal reggente mandamento di Porta Nuova nella gestione della mafia palermitana. «Un capo mandamento di alto livello» lo definiscono i boss, a cui toccava intervenire per risolvere le controversie interne alle famiglie di Misilmeri e Belmonte Mezzagno, influendo sui riassetti organizzativi dopo ogni arresto. Arbitro e non solo. Era al vertice del mandamento che bisognava rivolgersi per la riscossione crediti. Milioni di euro vantati da un imprenditore vicino a Cosa nostra da imprese operanti anche fuori dalla provincia di Palermo. Soldi che bisognava recuperare. Con l’aiuto del boss.