Si ragiona sulla libertà e su cosa voglia o possa significare. Se si va oltre l’autodeterminazione e il libero arbitrio, probabilmente ci si imbatte in quella zona franca dove si fa quel che si vuole, assumendosene la responsabilità. Questo, Cesare Basile lo sa bene, e ne sa qualcosa anche la sua pelle: un’armatura da 51enne che non ha paura, né di vincere, né di perdere. Questa volta ha vinto, e fa rumore. Artista indipendente dell’anno per il Mei (Meeting degli Indipendenti) e targa Tenco per il Miglior album in dialetto, nel giro di qualche giorno. Adesso si terranno le premiazioni e Basile, che ha già dichiarato di non fare «quello che non ritira i premi» di mestiere, sarà costretto a mettere in pausa il flusso di coscienza della sua fabbrica di visioni ai piedi dell’Etna e a fare qualche viaggetto per l’Italia.
Essendo, l’indipendenza, un concetto ormai discograficamente abusato, ciò che rimane nelle corde di Basile sembra la voglia di raccontare: la narrativa appare, oggi, il medium che guida il cantautore catanese nella sua continua speculazione tra la vita e la morte, con le cui declinazioni ha sempre dialogato. Storie, uomini e donne, percorsi. Strade, come la sua, che adesso lo conduce a ritirare premi che in passato aveva rifiutato perché le priorità erano altre. Perché la coscienza non ha una voce, ma un grido di rabbia e poesia, nel segno del quale poi ci si schiera. Nel 2013 aveva vinto il Tenco, ma non lo aveva ritirato; ovviamente si scatenò quel fenomeno atmosferico che si colloca nell’area della bassa pressione, tra il chiacchiericcio e la bufera mediatica. «Due anni fa – spiega Basile – accadde un evento preciso: la non posizione del Tenco dinanzi alla mia chiara posizione in relazione ai teatri occupati (in quel caso si trattava del teatro Valle di Roma, osteggiato dai vertici della Siae); e siccome nei conflitti non si deve inseguire la dimensione del quieto vivere e davanti a uno scontro non ci si può tirare indietro, io mi schierai, come sempre. Lo si deve, a proposito, agli araldi dell’inquieto vivere che incontriamo nell’albo d’oro del premio Tenco».
Si parlava dei passi che il premio in questione deve fare per rimanere all’altezza. «Essere coerenti è il primo di questi passi: si deve attingere dal proprio percorso per immaginarne di nuovi». Tenco, oggi, vincerebbe il premio Tenco? «Sarebbe auspicabile. Ma oggi anche De Andrè non se lo incula nessuno. Sono tempi, questi, che fomentano la disattenzione, la stessa ignavia che spinge le persone a lasciare passare le magagne». Chiedere a Basile della musica indipendente equivarrebbe a sorprendersi del fatto che, dopo averlo invitato, si presenti vestito di nero nonostante il dress code: ti risponderà, con fermezza e naturalezza, che ha sempre vestito il nero. Dunque se qualcuno, in questi giorni consiglia agli artisti indipendenti di non andare ai talent, il catanese risponde che «ai talent non ci dovrebbe andare manco chi pulisce gli studi, e che forse li fanno proprio per fare lavorare chi fa le pulizie. Ma c’è tanta di quella merda che si rimane inappagati».
Il Mei ha premiato un altro siciliano per il miglior videoclip dell’anno, Antonio Dimartino, già alunno di Basile. «Antonio non ha bisogno di riconoscimenti, è uno dei migliori. Sin da quando produssi il suo primo disco mi accorsi della sua notevole capacità di scrittura narrativa: lui racconta le cose». «Dalla mia carriera, adesso, non mi aspetto proprio niente. Da giovane sì, e ciò creava puntualmente scompensi emotivi: ora che sono libero da aspettative mi sto divertendo un sacco». Un pensiero anche alla federazione degli artisti siciliani, l’Arsenale, lanciata da Basile anni fa: «Ha avuto esiti senza dubbio positivi: ha portato tanta gente a parlarsi e a lavorare insieme; si è riversato moralmente in tante iniziative, ne è stato la spinta propulsiva». Tra riflessioni su Rosa Balistreri, che «ci ha messo dolore, vita, rabbia» e sui migranti, che sono «il nulla, il sottoproletariato più povero della società attuale; che vengono utilizzati populisticamente sia da chi li dipinge come la minaccia, che da chi dice di volerli aiutare», la conclusione è che «non è il premio che determina il valore di un artista, ma fa piacere».
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