Agrigento, Chiesa di S. Rosalia senza facciata da 60 anni Arcidiocesi promette: «Entro cinque anni sarà ripristinata»

Si è salvata dai bombardamenti aerei del 1943 ma non dal degrado. Da oltre sessant’anni, la seicentesca chiesa di santa Rosalia, nella storica via Atenea del capoluogo agrigentino, attende il ripristino della facciata, smontata negli anni ’50 per lavori di consolidamento delle murature. Dell’opera originale non resta quasi nulla: poche e incostanti, infatti, sono state le premure affinché i decori fossero conservati. Eppure la chiesa dedicata alla patrona di Palermo rimane uno dei luoghi religiosi più importanti per la storia della comunità agrigentina. E ora il rifacimento sognato e sempre rimandato potrebbe – il condizionale è d’obbligo – farsi concreto. «Entro cinque anni sarà oggetto di ripristino», assicura don Giuseppe Pontillo, direttore dell’ufficio Beni culturali dell’arcidiocesi di Agrigento. In modi ancora da definire.

La nascita del luogo di culto affonda le radici nella storia siciliana. La chiesa viene costruita nel 1626 in segno di devozione verso la Santuzza, Santa Rosalia, per essere intervenuta contro la terribile epidemia di peste che, a partire dal 1624, infuriava sulla città di Palermo. «Il flagello – scrive lo storico e studioso locale Elio Di Bella sulle pagine del sito Agrigento ieri e oggi – giunse in Sicilia, secondo il racconto del Picone, nel giugno del 1624 quando approdò a Trapani un galeone proveniente da Tunisi, che scaricò nel porto merci appestate. A Palermo i fedeli si rivolsero alla vergine Rosalia il cui corpo era stato ritrovato in una caverna del Monte Pellegrino e pochi giorni dopo l’epidemia ebbe fine. Gli agrigentini allora cercarono le reliquie del loro proto-vescovo San Libertino, ma senza successo». Il destino degli abitanti di Agrigento sembrava segnato fino a quando «venne da Palermo un frate portando un osso dei piedi di Santa Rosalia e nell’anno seguente l’epidemia cessò. Ciò si attribuì alla protezione di Santa Rosalia. Fu dunque innalzata prontamente una chiesa a lei dedicata».

Della facciata, continua lo studioso, «in pietra di tufo arenario con capitelli lavorati, sormontato da un campaniletto», oggi resta una parete in mattoni rossi, inframmezzata da solai di cemento armato. Il degrado della struttura è stato oggetto di attenzione da parte di Legambiente che l’ha inserita nella 17esima edizione di Salvalarte Sicilia, campagna di sensibilizzazione per la difesa e la valorizzazione del patrimonio culturale. «La nostra attenzione si è concentrata principalmente su questo sito – commenta a MeridioNews il referente di Legambiente Agrigento Daniele Gucciardo – perché abbiamo deciso di esplorare i territori interni della Sicilia, di solito lontani dalla ribalta mediatica, e focalizzare le problematiche relative al centro storico e al suo importante patrimonio artistico».

Ma perché la facciata è stata smantellata? A fare luce sulla questione è un dossier apparso sul settimanale dell’arcidiocesi L’Amico del popolo, a cura della giornalista Marilisa Della Monica, che prende in esame alcuni stralci di un volume edito dall’assessorato e dalla soprintendenza a proposito dell’immobile. Correva l’anno 1953 quando l’allora capo del Genio civile, rilevando «segni manifesti di dissesti gravi alle murature», ritiene opportuno intervenire con la «totale demolizione della parte anteriore». Tre anni dopo è il soprintendente Giuseppe Giaccone a correggere il tiro, raccomandando che quelle parti «venissero smontate con ogni cura e allo scopo di conservare il più possibile intatti gli elementi in pietra della decorazione architettonica». Eppure, si legge ancora nel dossier, «contravvenendo alle indicazioni della Soprintendenza di procedere al parziale smontaggio della parte sommitale, si demolì l’intera facciata».

La vicenda torna alla ribalta alla fine del 1967, quando l’ingegnere Donato La Mendola comincia a redigere un progetto di ripristino. L’idea è quella di utilizzare i pochi elementi originali sopravvissuti alla demolizione, unendone di nuovi coerenti e accurati come quelli antichi. Il progetto, però, non convince la Soprintendenza che, nell’ottobre del 1968, comunica il suo rifiuto all’assessorato regionale. La possibilità di ripristino svanisce definitamente nel 1971 con la dichiarazione del soprintendente Michele Gargano che stabilisce «gli elementi lapidei non sufficienti nella ricostruzione della facciata».

Il finale per l’immobile, dopo decenni di decadimento, sembrerebbe essere giunto a una soluzione. «La chiesa di Santa Rosalia – garantisce don Giuseppe Pontillo, direttore dell’ufficio Beni culturali dell’arcidiocesi di Agrigento – è stata inserita nel piano quinquennale 2017- 2022 dell’Arcidiocesi di Agrigento. Questo significa che entro cinque anni sarà oggetto di ripristino. Di sicuro non sarà possibile ricostruire la facciata com’era un tempo, perché molti elementi architettonici sono andati perduti. Bisognerà valutare il da farsi insieme all’ordine degli architetti, la Soprintendenza e il Comune».

Concetta Purrazza

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