A Lecce mancano dieci minuti al novantesimo. Il Catania, fino a questo momento, è riuscito a tenere lo zero a zero; rischiando, in qualche occasione, perfino di portarsi in vantaggio; rischiando però anche di perdere, sotto la pressione di un avversario tra i più forti – per quel che valgono le previsioni d’autunno – che ci siano in questo campionato.
Dalla panchina si alza un lungagnone di centonovantotto centimetri. La sua maglia è la numero ventidue, il suo nome è Gianvito Plasmati. Le sue caratteristiche tecniche sono quelle di un ariete, di un centravanti all’antica, di un uomo da area di rigore adatto a intercettare quei palloni che si buttano alla disperata nell’area avversaria, quando tutto sembra perduto e quando il campo odora solo di polvere e fango. Il suo è il profilo perfetto del giocatore adatto a trasformare le partite negli ultimi minuti di battaglia, dell’uomo giusto per la zona Cesarini, del centravanti che scrive la storia di una gara con un semplice gesto. Magari l’unico che compie nella partita. L’unico, ma quello decisivo.
E niente: sarebbe stato bello poterla raccontare così, la storia di Lecce-Catania: con l’enfasi delle cronache sportive di un tempo, con le speranze che avevamo in cuor nostro concepito quando appunto, alla fine dell’incontro, mancavano ancora dieci minuti più recupero. Senonché, purtroppo o per fortuna, da quel momento in campo non è successo niente di memorabile. E i rossazzurri hanno chiuso la più difficile delle partite fin qui giocate con un onestissimo zero a zero. Risultato nient’affatto disprezzabile, del resto. E che conferma il Catania, se non nel punteggio pieno, almeno nel ruolo di azzoppata capolista del girone C di Lega Pro: con in classifica dieci punti in quattro partite, ridotti tuttavia a uno per la penalizzazione che sappiamo.
E niente: mettiamo in serbo per una migliore occasione il brivido epico che avrebbe potuto regalarci l’ingresso di Plasmati. E abbandoniamoci per un momento ai ricordi legati a questo giocatore. Il quale torna quest’anno a indossare la maglia rossazzurra dopo essersela sfilata nel 2011. Ma soprattutto dopo averla vestita tra il 2007 e il 2009, quando ancora la storia della nostra serie A attraversava il suo momento ascendente, la sua fase di costruzione.
Fu Walter Zenga a credere più di tutti in Plasmati. Ed ebbe le sue ragioni. Nelle statistiche di quest’attaccante restano scritti pochi gol, ma tutti di peso. Uno segnato contro l’Inter. Un altro infilato nella porta della Juventus. Due gol in un totale di ventisei partite giocate fino a ieri in maglia rossazzurra; che certamente non sono tanti, ma che bastano a consegnare Plasmati al santuario della nostra nostalgia.
Senonché, di Plasmati non ci ricordiamo soltanto per quei gol. Ce ne ricordiamo soprattutto per una originale applicazione degli schemi tattici con cui la squadra di Zenga, quell’anno, interpretava i calci di punizione. Schemi inventati da uno specialista del settore, su uno dei quali appunto Plasmati realizzò il gesto tecnico che lo ha definitivamente consegnato alla storia. Non soltanto a quella rossazzurra.
È il novembre del 2008 e, al quarantesimo del primo tempo, al Massimino, Catania e Torino sono sull’uno a uno. Per il portiere del Torino, Matteo Sereni, non sarà una bella giornata. Peppe Mascara gli ha già fatto un gol, e si prepara a segnargliene altri due. E proprio in questo momento sta per calciare una punizione dal limite. Ora, mentre Sereni si concentra per non farsi fregare dalla traiettoria della palla, ecco che il Catania mette in scena una delle sue impareggiabili coreografie da calcio piazzato. Quattro uomini sorpassano la barriera granata e vanno a piazzarsi, in plateale fuorigioco, davanti al portiere avversario. Poi, un attimo prima che parta il pallone, riconquistano la posizione regolare, continuando però a ostruire la visuale all’uomo che deve difendere la rete. È un attimo prima, che Plasmati ha il colpo di genio: mentre danza in offiside davanti alla porta avversaria, decide di abbassarsi i pantaloncini e mostrare a Sereni le mutande. Per il portiere del Torino è il colpo di grazia. Per un attimo, quell’esibizione da ballerina di cancan lo distoglie dal pensiero fisso del pallone. O forse Plasmati gli fa venire in mente quel film inglese, Full Monty, in cui un gruppo di disoccupati si guadagna da vivere dandosi allo spogliarello. Non importa: a Mascara basta quest’attimo. Appena Plasmati ha finito di esibirsi, il buon Peppe disegna col compasso la più perfetta delle punizioni, che si infila dove sarebbero potuti arrivare pochi portieri attenti, e certamente nessun portiere distratto. Il Catania passa in vantaggio e, alla fine, sconfiggerà il Torino per 3 a 2, grazie a un terzo, bellissimo gol di Mascara. In un giorno che però, più che per la tripletta di Peppe, passerà alla storia per la mutanda di Plasmati: nel giorno memorabile del ballo di Gianvito.
Peccato che non sia stata altrettanto memorabile la partita di ieri a Lecce. Ma è stato un buon punto contro un bruttissimo cliente. E tanto, per il momento, può bastarci.
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