Vulcanico Lorenzo

Un iniziale zampillio di creatività, in lui fin da piccolo, si trasformò man mano, fino ai suoi 23 anni, in una cascata di inarrestabile genialità. Ecco di cosa fu capace Lorenzo Vecchio. Il padre, Sebastiano Vecchio,  nonché docente universitario di teoria del linguaggio, ci racconta quanto il figlio «amasse le storie e amasse raccontarle››. Ma in un modo più completo usando oltre alla scrittura la cinepresa, ovvero la dimensione audiovisiva, perché Lorenzo valutava il cinema come «il regalo più bello che i sensi gli potessero fare›› e diceva che avrebbe raccontato con la sua cinepresa ‹‹fino alla cecità eterna». 

Parole forti, per un giovanissimo, testimoniate dalla sua grande passione e vocazione per la scrittura e la cinematografia: dagli articoli alle schede critiche che scrisse, dai cortometraggi che realizzò (tra cui emerge il documentario “Ballata di un uomo sottile”) ai numerosi appunti e abbozzi di sinossi che non poté ultimare. Nei primi sei mesi di università – al Dams di Roma – dalla prima tesina ai lavori successivi, si notò il rinvigorimento del suo stile di scrittura e di analisi contenutistica.

Sebastiano Gesù, critico cinematografico, ha affermato che «Lorenzo era un cineasta a tutto tondo e se fosse nato negli anni ’60 in Francia credo sarebbe stato un cineasta della Nouvelle Vague». Amava i film di genere e d’autore, i gialli… e non gli piaceva quando ai film venivano dati solo giudizi di natura estetica e in modo repentino; lui preferiva stare in silenzio (e preferiva anche i film in cui si parlava pochissimo) per riflettere con attenzione prima di dare un giudizio di valore.

E ora che lui non c’è più, a causa di un osteosarcoma che lo ha portato via nel maggio del 2005, ci pensano la sua famiglia, gli amici con cui fondò il “Magma Festival” di Acireale e tutti coloro che apprezzano le sue opere, a mantenerne vivo il ricordo. «Perché è nel ricordo che si costruisce la nostra vita – sostiene il docente di filosofia Marco Carapezza -, l’importante è sapere cosa ricordare». Questa è anche la convinzione che ha spinto il padre di Lorenzo a pubblicare gli appunti del figlio e a leggerli durante l’inaugurazione del Festival: «Per offrire a chi conosceva Lorenzo di arricchire il ricordo ed ampliare la conoscenza; per permettere a chi non lo conosceva di conoscerlo», in generale «per il diritto di chi resta, di conoscere meglio chi se n’è andato»; per avviare altre persone alla scrittura, infatti Carapezza svela: «consiglierei i libri di Lorenzo ad un giovane che mi chiedesse consigli sullo scrivere, ma non credesse ai manuali di scrittura creativa».

Così dopo l’opera prima “Mia madre non chiude mai” che gli è valso il “Premio Vittorini”, furono pubblicati postumi “Un metro lungo cinque” (un libro, a parer dei critici, di impareggiabile freschezza e brevità), “Cinque racconti più uno” e altri.

Mentre i due inediti (riguardo ai quali il padre avanza qualche perplessità: «non sono sicuro che Lorenzo sarebbe stato d’accordo di come li abbiamo realizzati») tratti dai suoi appunti e dai testi delle sue email sono “Il regalo più bello” e “Quando Lorenzo visse a Barcellona”: nel primo vengono esposte le sue idee sul cinema e nel secondo le sue esperienze d’Erasmus in terra spagnola, con la voglia sempre presente di «adoperarsi per un’Italia più bella e morale», queste le parole del cineasta.

Senza farsi catturare dalla frivolezza di una città lontana da casa, ma vivendo l’Erasmus come un momento di crescita vera e piena di perplessità plausibili per un ventenne, “Lollo”, come lo chiamavano gli amici, fu proprio lì che trovò la difficoltà a rielaborare le immani esperienze. Raccontava infatti: «voglio trovare gli scarti e non l’incredibile esplosione di bellezza, voglio essere una piantina abbeverata goccia a goccia e non con barili interi al giorno».

Alternava sempre a momenti di estrema perplessità, momenti di lucida – rigorosa quasi «spietata» – sicurezza, quando per esempio affermava: «voglio nutrire la mia mente in continuazione, e voglio che la gente abbia paura, quando parla con me, di parlare del nulla».

Sia che utilizzasse la penna, sia che utilizzasse la cinepresa, ciò che appariva era sempre l’estro creativo, la genialità e il coraggio. Lui sapeva mettere insieme e comunicare i suoi doni creativi e per tutto questo rimane vivo il ricordo di lui.

Stefania Oliveri

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