Videogiocare? Un’arte

Parlare di videogiochi non è cosa comune all’interno dell’Università, soprattutto quando si tratta di una facoltà umanistica. A riuscire nell’impresa il professore Giuseppe Frazzetto, docente di “Storia dei nuovi media” all’accademia di Belle Arti di Catania, autore di un saggio originale sui videogames e chi li usa. I “performers”, da non confondersi con i videogiocatori, sono coloro che «usano il mondo virtuale come il pittore usa il pennello», ricreando nel proprio tempo vuoto, da riempire, una esperienza coinvolgente e irripetibile, praticamente «arte dell’uomo qualunque».
Si tenta di dare per la prima volta una struttura teorica a supporto dell’Interactive Digital Hybrid Entertainment, Intrattenimento Digitale Ibrido Interattivo, «di solito indicato con l’insoddisfacente termine videogioco» come scritto sulla copertina del saggio “Per una teoria dell’IDHE. Introduzione ai videogiochi”, presentato nell’Auditorium del Monastero dei Benedettini dall’autore insieme a Luciano Granozzi, prof. di Storia Contemporanea della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, che ne ha curato una introduzione.

«Partiamo dalla copertina, di Pablo Echaurren, un famoso artista che fece la copertina anche di “Porci con le ali”. Come il romanzo del ’76, oggi nel libro dello storico dell’arte Frazzetto c’è una parte di “scandalo”, legata al rischio di trattare certi temi». Davanti a un pubblico non numeroso, il professore Granozzi sottolinea da subito il valore innovativo del saggio. I videogames, quando non apertamente bistrattati, vengono considerati degni di studio solo dal punto di vista tecnico. Il saggio di Frazzetto ha invece il pregio di occuparsi, secondo l’acronimo IDHE, non di “Digitale e Interattivo”, quanto di “Intrattenimento Ibrido”. In poche parole, di Arte.

«IDHE non parla tanto di videogames quanto di perdita dell’aura della produzione artistica, un concetto riconducibile a Benjamin e a “l’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.  Chissà oggi cosa scriverebbe se avesse l’IPod», si chiede il docente di Storia Contemporanea, che cita un brano esemplificativo del saggio su questo rinnovato rapporto con l’arte de-sacralizzata. “Oggi tutto viene estetizzato, ma in chiave superficiale: nessuna epoca ha mai posseduto tanti vuoti di tempo. L’intrattenimento si identifica con la distrazione, con l’assenza”. E «Chissà quanto tempo vuoto ha dedicato ai videogiochi per scriverne» domanda infine all’autore.

«L’utente del videogame lo usa molto aldilà dell’intrattenimento», dichiara Frazzetto rispondendo in parte alla domanda e in parte chiarendo il senso della citazione dal suo saggio «Ma l’accettazione sociale dei videogiochi è al momento molto scarsa. Se entriamo in un bar e diciamo “ieri sera ho guardato l’Inter” nessuno avrà nulla da ridire, magari diranno “anche io”. Se dico “Ho fatto l’una giocando a World of Warcraft” ci guarderanno come si guarda un alieno».
Qual è dunque la differenza tra lo spettatore e il performer? «Proprio il fatto che il performer non ha un atteggiamento passivo. E’ una affermazione rischiosa, perché ormai è dimostrato che guardare la TV è una attività non passiva percettivamente. Ma rimane il fatto che sto “fermo” e il mio Io non partecipa. L’Io come consapevolezza cosciente», che invece interviene nella “performance videoludica”. La concezione del videogiocatore-performer si ricollega dunque a una delle concezioni dell’arte: non si tratta di “produrre immagini” ma di “fare qualcosa”. «L’artista fa qualcosa in un certo momento in un certo modo, che si consuma nel tempo di durata della performance. Oggi nell’arte è stato abbandonato questo aspetto, e l’arte è tornata ad essere spettacolare. Lo stesso elemento della performance lo troviamo nel videogame, non più per l’artista ma per chiunque. La performance diventa “qualunque”». Vari neologismi, spiega ancora l’autore, parlano di questo nuovo rapporto tra consumatore e produzione, il più famoso dei quali è PROSUMER (PROducer + conSUMER), e non solo nei videogame: Youtube è l’esempio massimo di questo mondo di User GeneratedContent (contenuti generati dagli utenti).

Il concetto di “performance dell’uomo qualunque”, non si applica solo ai videogiochi,  ma non è applicabile a ogni videogioco. «Qualche anno fa scrissi un articolo, piuttosto infastidito, su Second Life, perché Second Life non è affatto una “seconda vita”, ma un proseguimento della vita vera. Non si era soli con il proprio tempo vuoto. Per usare Second Life in modo “corretto”, bisogna usarlo in modo “ascetico”. Mario Gerosa è un esempio di questo atteggiamento. Costruendo architetture fantastiche usa il mondo virtuale come il pittore usa il pennello. Per la maggioranza degli utenti non è così».

L’esempio opposto a Second Life è invece un vecchio GDR (Gioco di Ruolo, sul filone di Baldur’s Gate stesso motore grafico, stessa derivazione da D&D): Planescape: Torment. Si impersona un personaggio senza memoria, “nameless” (senza nome), che più esperisce il gioco più acquisisce una propria personalità: «Un personaggio che diventa quello che fa, assoluta metafora di videogioco».

Nel giro di domande seguente, il prof. Granozzi cita il mondo del cinema «Ci vorrebbe un lavoro nel settore simile a quello fatto da Kracauer sul cinema con i suoi saggi. Mi sembra che la “coolness” occupi un ruolo fondamentale nella scelta e nel successo dei videogames. Possiamo considerare una analisi completamente desocializzata del fenomeno? Non mi capita spesso di leggere di videogames sui grandi quotidiani…»

«In realtà a me interessano soprattutto, parafrasando Krakauer, “Le piccole commesse che giocano a  The Sims», risponde l’autore. «Mi interessano le grandi opere artistiche, ma soprattutto mi interessa la ragazzina che mette il piercing. In Corea i videogames sono socialmente accettati, al livello in cui lo è da noi il calcio». Frazzetto non ha invece una visione positiva dell’attuale panorama della critica italiano: «In Italia siamo ancora analfabeti nel settore “multimediale”, non solo nei videogames. Vittorio Zambardino, recentemente ospitato da Upress, è uno dei pochi giornalisti esperti in Italia. Ma non abbiamo elementi, come pubblico, per dire se sia “bravo” o meno. In realtà la critica in Italia è soprattutto tecnica, non scende quasi mai all’interno considerando altri aspetti. Questo non significa che non se ne parli.
Se vogliamo addentrarci in altri aspetti, dobbiamo andare nella moltitudine dei forum, nei quali si parla di ogni aspetto dei videogames, e non a livello superficiale. Anche la critica si sta “orizzontaleggiando” dunque, come la performance diventa “qualunque”
».

Quanto alla “Coolness”, «non mi preoccupa se non quando diventa sacralizzazione – dichiara Frazzetto –  Non mi scandalizzo se il ragazzino esclama “wow”, ma solo quando questo “wow” arriva per cose artatamente create per farlo gridare. Parliamo di miti tecnicizzati, e un esempio è il film Avatar: ha la stessa dinamica dei GDR, e il protagonista si comporta come un performer accanito: a un certo punto è talmente preso che inizia a non mangiare o dormire…».

Ma se chi gioca ai videogames è paragonabile a un artista, un “performer”, come possiamo definire chi i videogames li crea? «Non certamente artisti», risponde, «qui la logica da considerare nell’emergere di nuovi “talenti” è probabilmente quella del mercato: più il proprio stile si avvicina a quello voluto dalle case più ci si avvicina al riconoscimento “d’accademia”». Non è d’accordo con questa visione Salvo Mica, fondatore di “E-Ludointeractive” e presente al dibattito da spettatore. Secondo la sua diretta esperienza «il mercato videoludico è sempre più sensibile alle produzioni Indie». E questo è permesso anche dall’apertura di piattaforme apposite da parte di Apple, di Microsoft e anche di Nintendo.

Il prof. Frazzetto risponde che non crede molto al mercato Indie “aperto”: «per avere successo», e cita l’esempio del famoso brano “Tubular Bells”, «si deve passare dalle case di produzione», nel caso del brano di Mike Oldfiled la neonata Virgin records. Sul finale il professore Frazzetto parla della sua visione globale del mondo dei media «per me il mercato dei videogiochi è una completa rimodulazione di tutto il settore dei media. E l’enorme semplificazione dell’uso ne è lo specchio. Si riporta il controllo dalla parte di chi produce, non ci si apre all’Indie. Se una volta lo ZX Spectrum (uno dei primi personal computer) aveva un compilatore Basic integrato , oggi il Wiimote (il controller della consolle Nintendo Wii)elimina addirittura i tasti. Forse tra 10 anni sarà tutto Indie, o più probabilmente ci sarà il controllo di pochi sui contenuti inseriti da tanti. Un grande sistema “Cloud”, tutto centralizzato e niente in locale». Uno scenario fantascientifico, verso l’asimoviamo Multivac.

Leandro Perrotta

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