Via Archimede tra convivenza e degrado «Lo sgombero? A parole. I rom sono qui»

Una strada lunga meno di un chilometro, ampia ma dissestata da mille buche, luminosa perché gli edifici ne occupano soltanto un lato, e trafficata per lo più da automobili e gente con lo zaino in spalla o la valigia in mano perché lì accanto c’è la stazione degli autobus, e poco più in basso quella dei treni. Gli esercizi commerciali sono più delle abitazioni e lavorano anche la domenica, nonostante l’allestimento del Mercatino delle pulci – trasferito qui, tra le polemiche, da piazza Currò – renda poco visibili gli ingressi degli empori e complicata la sosta dei clienti. Gli abitanti di via Archimede si conoscono tutti tra loro e alcuni si intrattengono a scambiare quattro chiacchiere dopo il lavoro. Figli di tante patrie in una sola strada, disegnano sui loro volti variegati cromatismi somatici che permettono di viaggiare dall’Asia all’Africa, passando per l’Europa, in meno di otto minuti a piedi.

L’uno accanto all’altro si danno da fare un girarrosto italiano e una kebabberia turca, un ferramenta catanese e una ventina di negozi cinesi. Le insegne idiomatiche degli empori orientali si confondono ai segnali stradali occidentali. Fra gli onesti del vecchio rione San Berillo c’è rispetto e quella lealtà primordiale tra lavoratori che porta Totò, un ossuto muratore in pensione, con pochi denti e due timidi baffetti, a dire: «Cinesi e marocchini sono brava gente. Lavorano dalla mattina alla sera, sono rispettosi e stanno lontani dai guai, non come i rom»; un altro sguardo al negozio di carretti siciliani gestito dal nipote, e aggiunge: «Chi vive di onestà è per me comu ‘n frati». Anche i marocchini sono lieti della vicinanza con gli italiani – «Accoglienti e disponibili» – un po’ meno della presenza romena e bulgara. I cinesi, criptici per tradizione, snocciolano monosillabi confusi e non forniscono pareri sulla multietnicità del quartiere.

Fin qui il quadro è colorato da una buona convivenza civile, nonostante si avverta il sentore di una frattura con la comunità rom. L’idillio s’infrange del tutto nei labirinti di degrado e sporcizia che i cittadini quotidianamente si trovano ad affrontare. Non è raro che nelle case manchi l’acqua corrente, i cavi della linea telefonica siano fuori uso e non si possa alzare la cornetta. Spesso la puzza dei rifiuti lasciati fuori dai cassonetti non lascia respirare e i bambini non possono uscire fuori a giocare perché «qua davanti la gente fa le cose sporche», confida Djemel, maglietta macchiata dall’olio da motore e uno sguardo da duro. E’ quando questo accade tutto in una volta che l’aria diventa davvero pesante.

«Sono loro che hanno portato questo quartiere alla rovina. Da quando ci sono loro abbiamo la prostituzione sotto casa. Come se non bastasse, riempiono i marciapiede di bottiglie di birra vuote, tagliano i cavi della luce e nun vogghiu continuari» . Loro sono i rom e chi parla dalla veranda di un appartamento al terzo piano è Lucia, bidella in pensione che accende una sigaretta e scende in strada: «La notte non riusciamo a camminare tranquilli – s’accalora – e d’estate non possiamo nemmeno uscire fuori nei nostri balconi perché le prostitute stanno accanto alle nostre automobili, davanti ai nostri portoni di casa. Non ce la facciamo più!».
Djemel, con vistoso accento catanese, sottolinea: « Ci siamo lamentati con l’amministrazione cittadina dei campi rom, non per razzismo – anch’io sono straniero – ma proprio perché la situazione è difficile per noi. Dopo l’accoglienza si deve passare all’integrazione e per fare questo abbiamo bisogno di un sostegno da parte del Comune di Catania. Vogliamo che non ci sia più sporcizia e degrado, non che questi poveri disgraziati vengano cacciati».

Nei tre campetti tra corso Martiri della Libertà e via Archimede le baraccopoliconsiderate le favelas di Catania – sono occupate da senzatetto di varia nazionalità dal 1951. Nel novembre del 2012 il Comune aveva lanciato la cosiddetta operazione San Berillo – opera di bonifica e rigenerazione della vasta area con inizio dei lavori per l’anno successivo – a favore della quale erano stati stanziati 200 milioni di euro tra contributi pubblici e privati. La riqualificazione prevedeva tra l’altro la creazione di aree verdi, parchi gioco e parcheggi per auto. Il 7 febbraio 2013 i lavori hanno effettivamente avuto inizio. Il primo atto è stato lo sgombero delle fosse; a questo ha fatto seguito la recinzione delle tre aree. Djemel racconta: «Ero presente quando hanno invitato i rom ad abbandonare le zone occupate. Un dipendente della Caritas con cinquanta euro in mano era molto convincente. A fine giornata le tre aree centrali erano vuote ma già il giorno dopo i rom erano tornati».

Gli fa eco Totò: «Vivo qui da quando sono nato e Catania la conosco come i calli delle mie mani. Nel 2005 Scapagnini (Umberto, l’ex sindaco della città, ndr) prima delle elezioni aveva dichiarato di voler ripulire questo quartiere dal degrado. L’ordine all’epoca aveva avuto durata breve, giusto il tempo della campagna elettorale. L’attuale primo cittadino sta andando nella stessa direzione. Parole e promesse solo perché per diventare sindaco ci vogliono tanti voti. Si riempiono la bocca parlando di parchi verdi e parcheggi e di grandi architetti che si occuperanno della cosa ma in pratica lasceranno tutto così com’è. Qui le cose non cambieranno mai».

Via Archimede è una ferita aperta nel cuore della città che scava dentro i suoi abitanti oltre la lingua e l’etnia, è la casa di genti diverse con tradizioni e culture diverse che vogliono tutela, decoro e pulizia per una delle zone più antiche della città dell’elefante perché: «Catania non è solo via Etnea», sentenzia Lucia.

Cassandra Di Giacomo

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